L'intervista a Elia, docente universitario: «La guerra Russia-Ucraina? Una mazzata per la ripresa economica»

L'intervista a Elia, docente universitario: «La guerra Russia-Ucraina? Una mazzata per la ripresa economica»
di Alessio PIGNATELLI
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Venerdì 25 Febbraio 2022, 07:04 - Ultimo aggiornamento: 20:06

«Dobbiamo sperare in una de-escalation a breve. Perché se il conflitto dovesse perdurare, anche per noi sarebbe drammatico. Ci sono già studi che disegnano scenari preoccupanti, in cui saremmo costretti ad applicare restrizioni allo stile di vita a causa degli approvvigionamenti energetico e alimentare».

Valerio Elia è docente di Ingegneria economica presso l’Università del Salento.

Il suo approccio è scientifico e diretto. Sintetizzabile così: con un inasprimento della guerra tra Ucraina e Russia, le ripercussioni su ognuno di noi sarebbero durissime. Al di là dei chilometri di distanza.


Professore, quali gli effetti a breve termine per la Puglia?
«Per quanto poco accettabile, dobbiamo sperare che questa sia solo una prova di forza di Putin altrimenti la situazione diventa decisamente preoccupante. Vanificherebbe una ripresa e una crescita economica ancor più nelle regioni meridionali che avevano già difficoltà a raggiungere i livelli pre covid».
Ci sono termini temporali entro cui questa guerra debba spegnersi per evitare questo quadro?
«La differenza è tra una questione di giorni e una situazione che si protrae per settimane. Le fiammate sui prezzi sarebbero temporanee nel primo caso con la possibilità di ammortizzarle. Discorso diverso se si allungasse il periodo: tutta la catena ne risentirebbe e correremmo il rischio di non trovare generi alimentari sugli scaffali o con prezzi estremamente più alti».
Capitolo sanzioni alla Russia: quali le ripercussioni sul nostro tessuto economico?
«Bisogna capire quali saranno, ancora non è chiaro su quali punti verteranno. Quelle classiche su esportazioni e importazioni ci toccherebbero direttamente. Se dovessero essere di un’altra natura come sembra e cioè sul sistema di interscambio bancario, potrebbero essere meno impattanti».
Per la Puglia in particolare quali sono i rischi?
«Due comparti principali. Quello energetico con ripercussioni su progetti che riguardano il territorio. La transizione dal carbone al gas e la riconversione di alcuni siti potrebbero ritardare per una questione economica. E poi c’è il settore alimentare: com’è noto, una parte del grano viene importato da Ucraina e Canada. Nella nostra regione, ai pastifici già in serie difficoltà e si aggiungerebbe una mazzata ulteriore».

Nel 2014 la crisi della Crimea: ci sono analogie con quella odierna in quanto a possibili scenari?
«È ben più grave quella che stiamo vivendo in questi giorni. All’epoca si trattava di una singola regione e i paesi occidentali fecero finta di nulla applicando sanzioni che toccavano scambi relativamente minori. Adesso le reazioni saranno molto più dure per non costituire un precedente. Pensiamo per esempio alla Cina e al Taiwan. Accettare un’invasione dell’Ucraina significherebbe dare il via libera alla Cina e quindi ci sono implicazioni politiche diverse. E ripercussioni peggiori».
Fronte spedizioni e merci: come impatta questa guerra per il nostro import-export?
«Siamo legati alla Russia ma abbiamo un interscambio meno significativo rispetto ad altre regioni. Si pensi al Veneto: non è un caso che la Lega sia in prima fila per evitare sanzioni proprio perché impatterebbero direttamente su molte aziende esportatrici».
C’è però un’affinità socio-culturale. 
«Certo, la Chiesa ortodossa per esempio: la presenza a Bari è storica e radicata. Ed è ovvio che le conseguenze sul turismo potrebbero esserci. L’arrivo dei visitatori russi potrebbe essere inibito: già è stato chiuso lo spazio aereo sui due Paesi e molti voli si stanno spostando o sono stati annullati. In questa fase di riapertura, per il turismo sarebbe l’ennesima beffa».
Le tante comunità ucraine sul territorio si apprestano a ricevere famigliari e amici.
«È l’aspetto umanitario che abbiamo vissuto con la guerra del Kosovo in cui eravamo dirimpettai. Avevamo rivissuto scene che non vedevamo più dalla seconda guerra mondiale. Ora siamo un po’ più lontani ma le persone che scappano vanno nei paesi e nelle regioni più accoglienti: e noi, fortunatamente, lo siamo».

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