«Anche Stalingrado è crollata», commentavano ieri compiaciuti gli esponenti del centrodestra. Sconfessando l'idea di una roccaforte progressista, isola felice di resistenza anche del campo largo.
Analogamente al resto d'Italia, ma in una maniera tutta sua, la Puglia ha infatti ceduto al centrodestra, che ha stravinto con il 41,07% (Fratelli d'Italia 23,50%, Forza Italia 11,51%, Lega 5,28%, Noi moderati 0,78), tallonato però dal M5S al 27,96% - primo partito più votato della regione - invece che dal centrosinistra, fermo al 22,49% (Pd 16,82%, Verdi e Sinistra 3,04%, +Europa 1,92%, Impegno civico 0,71%).
La doccia fredda per il Pd
Una doccia fredda anche per Michele Emiliano, che qualche giorno prima concedeva agli elettori tiepidi con il centrosinistra di votare M5s, senza sospettare che la valanga era già in movimento.
Il consenso del M5S
L'unico vero arresto si è registrato alle porte di Foggia, guarda caso la città di Giuseppe Conte e suo collegio elettorale, dove il M5s ha superato il 33 per cento, in un testa a testa solitario con l'intero centrodestra durato tutta la notte.
«Abbiamo triplicato il Pd», esultava ieri Mario Furore, europarlamentare del Movimento nella Capitanata, un messaggio che dalla Puglia punto dritto al Nazzareno, dove a breve si terrà la vera resa dei conti.
Il tonfo del centrosinistra è rovinoso e il terzo posto in Puglia è una prova di evidenza chiarissima degli errori di valutazione commessi da più parti. Certo, il Pd si lecca le ferite cercando di caricare sui territori con a migliore performance, come Lecce. Ma il grande de profundis del centrosinistra non può riguardare solo l'errore strategico che oggi si imputa a Letta di avere escluso dalla partita i 5s nonostante le sollecitazioni di molti dei suoi, Michele Emiliano in primis.
Il presidente pugliese rilancia la sua visione: «In Puglia, dove governiamo la Regione insieme, Pd e M5S alla Camera raggiungono il 50,45% dei voti, superando il centrodestra unito che si attesta al 41,09%». Tuttavia la somma aritmetica dei due risultati alle urne non può bastare, perché ovunque il M5s ha dimostrato di avere eroso voti proprio agli ex alleati del centrosinistra (pochissimo dall'altra parte) intercettando un elettorato che in questa fase difficilmente avrebbe premiato nuovamente il tandem giallorosso.
E dimostrando che al di là delle apparenze l'armonia amministrativa raggiunta in Regione non solo non è meccanicamente esportabile sul piano nazionale ma anche nella stessa Puglia il laboratorio non abbia dato i frutti sperati in presenza di logiche elettorali completamente differenti.
Persino la beffa dell'accordo saltato con il Terzo Polo, non può giustificare il crollo del centrosinistra, mai così vicino alla debacle del 2018 con la guida Pd di Matteo Renzi.
In Puglia, infatti, anche complici le frizioni sull'accordo con Puglia Popolare cui andarono le postazioni ritenute utili lasciando a bocca asciutta buona parte della base, la lista di Carlo Calenda e Matteo Renzi non raggiunge il 5 per cento. Due punti sotto la media nazionale. Lo stesso Calenda ammette il risultato non proprio soddisfacente: «L'obiettivo di fermare la destra e andare avanti con Draghi non è stato raggiunto - ragiona il leader di Azione - gli italiani hanno scelto di dare una solida maggioranza alla destra sovranista».