Made in Italy, e non solo le targhette. La pandemia continua a sconvolgere gli assetti geopolitici convincendo anche i più scettici che sia giunta l’ora di riportare le produzioni in Italia. E adesso, oltre alle multinazionali, cominciano a crederci anche le aziende locali. La Puglia è destinata a rappresentare una tra le mete più ambite di “reshoring”, se non altro per il fatto che di delocalizzazione questa terra è stata sin dagli anni Ottanta vittima privilegiata. E se pure il Pnrr decolla, considerare meno velleitaria l’intenzione oggi diffusa potrebbe diventare più realistico. Ci sono i casi in cui è il brand a traslocare. Altri in cui, invece, a rientrare nel perimetro italiano sono alcune delle lavorazioni delle case di produzione. Una tendenza comunque c’è e si fa anche apprezzare.
Ovs
Solo qualche giorno fa, il vicesindaco e assessore alla Trasformazione digitale del Comune di Bari, Eugenio Di Sciascio, ha annunciato, nel capoluogo pugliese, un investimento da 10 milioni di euro di Ovs che, alle spalle dell’ex stabilimento Calabrese, in via Lindemann vorrebbe realizzare un nuovo hub. Il progetto non parrebbe, tuttavia, orientato alla produzione, bensì, attraverso l’impiego di un centinaio di dipendenti, al restyling di capi, al recupero di appendini, allo sviluppo di nuovi modelli digitali per la gestione dell’azienda e dei prodotti. Ovs, del resto, già prima del Covid avevaaffermato di voler riportare in Italia la produzione di 200 milioni di capi che in quel momento realizzava nell’Europa dell’Est.
Natuzzi
Ad Altamura, sono, invece, almeno 500 gli operai che attendono da Natuzzi il rientro in Puglia della produzione che attualmente l’azienda leader nel settore del mobile imbottito realizza in Romania. È ciò che di fatto prevede il nuovo Contratto di sviluppo da circa 30 milioni di euro, disegnato dopo il fallimento del primo. Si attende che il ministero dello Sviluppo economico individui entro fine anno le fonti di finanziamento. Il presidente della task force regionale, Leo Caroli, sarà al Mise lunedì per un aggiornamento. Il piano di Natuzzi (che la Regione prevede di sostenere con 10 milioni di euro) prevede, più in dettaglio, il rientro dalla Romania delle produzioni a marchio “Divani&Divani”, così da garantire il reimpiego di circa 452 dei complessivi attuali 600 dipendenti dichiarati in esubero, a fronte dei 2.192 operativi in Italia e di altri 2mila che, invece, sono impiegati all’estero.
L'analisi di Confindustria
Secondo Confindustria, il backshoring di fornitura, negli ultimi 5 anni, ha coinvolto il 28% di aziende tra Puglia e Campania. Nella moda - tra i settori maggiormente esposti insieme a meccanica e meccatronica, la dinamica di “rientro” sta riguardando diverse lavorazioni e, come spiega il presidente di sezione per Confindustria Lecce, Michele Zonno, si sta consolidando: «In realtà - afferma - la dinamica è doppia.
La voce del sindacato
Ne sa qualcosa anche il distretto della moda di Martina Franca: «Dopo i danni provocati dalla pandemia - spiega il segretario di FilctemCgil Taranto, Giordano Fumarola - qualcosa si sta muovendo. Se mi chiede di fare dei nomi probabilmente non sarei capace di elencarli. Tuttavia, posso affermare che si rileva quantomeno l’intenzione di tante aziende del distretto, che tra gli anni ’80 e ’90 hanno delocalizzato, di riportare a Martina la produzione. Tale dinamica non si è ancora concretizzata, ma, ripeto - assicura il sindacalista - l’intenzione di operare in tal senso sta acquistando col tempo sempre più intensità».