«Estiva e con pochi colpi di scena: una campagna elettorale mai vista»

«Estiva e con pochi colpi di scena: una campagna elettorale mai vista»
di Alessandra LUPO
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Domenica 25 Settembre 2022, 11:44

Edoardo Novelli, giornalista e ordinario all'Università degli Studi Roma Tre dove insegna Comunicazione politica e Sociologia dei media, quella appena terminata è stata una campagna elettorale fin da principio inedita nel panorama italiano. Cosa ha comportato?
«Anzitutto è stata una campagna elettorale condotta in estate, cosa che non c'era mai stata e poi è stata velocissima, perché dalla crisi di governo alle elezioni sono passati appena due mesi».


Per certi versi è anche stata una campagna elettorale un po' statica, con pochi colpi di scena. È così?
«Sì, è partita in un certo modo e non si è più mossa, era come se fosse tutto già scritto: il centrodestra è sempre stato avvertito in posizione determinante e centrale e il racconto è rimasto pressoché quello. L'unico colpo di scena e nodo centrale per gli equilibri è stato quello di fine luglio, quando il segretario nazionale del Pd Enrico Letta ha chiuso all'ipotesi del campo largo con il M5S nonostante l'attuale legge elettorale premi e coazioni».


Il centrodestra si era infatti immediatamente compattato, perché il centrosinistra non lo ha fatto?
«Sì, il centrodestra ha immediatamente cercato la compattezza definendo una strategia comune che in qualche modo ha retto, invece il Pd ha sorprendentemente sconfessato la strategia politica a cui aveva lavorato almeno nell'ultimo anno e mezzo».


Crede che ci sia stato anche il tentativo di recuperare lo storico elettorato di riferimento del centrosinistra. Un po' come hanno tentato di fare i 5s?
«No, sinceramente credo che questa sia stata una giustificazione degli ultimi giorni.

Ho letto varie ricostruzioni giornalistiche in cui si sostiene che Giuseppe Conte avesse già scelto. Ma le date parlano chiaro: Letta arriva in direzione nazionale del Pd e presenta la sua relazione in cui delinea un'alleanza inclusiva con varie forze escludendo il M5s. Una decisione unilaterale che spiazza Conte, la reazione dei 5s arriva dopo. Ricordiamo che c'era anche il pre-accordo con Calenda, basato sull'emarginazione del M5s per punirlo della caduta del governo Draghi. Poi Calenda rompe l'alleanza e il Pd si ritrova con +Europa, Sinistra-Verdi e Di Maio. Qui a mio avviso troviamo una certa confusione di proposte, perché prima si rompe il campo largo e poi si propone l'agenda Draghi, che ne era l'elemento unificante. Il paradosso è che il centrosinistra abbia in coalizione Sinistra Italiana che quell'agenda non l'ha mai appoggiata».


Poi arriva però il cosiddetto Patto repubblicano per tagliare la strada alla destra, un'operazione che più volte è stata sperimentata in Francia.
«Sì, certo, ma a maggior ragione quando c'è questa esigenza di sbarramento si tengono dentro tutti».


Anche a destra, però, l'armonia non sembra blindatissima: Giorgia Meloni anche nelle ultime ore ha dovuto fronteggiare le uscite di Berlusconi sull'Ucraina e gli attacchi di Salvini a Ursula von der Leyen. E da principio la campagna elettorale è stata segnata da un po' di imbarazzi e bordate interne.
«Che l'alleanza sia elettoralistica non può scandalizzare: non è un segreto che esistano differenze sostanziali tra Lega, Fdi e Forza Italia. Ed esistono anche delle ambizioni in competizione».


Prima tra tutte quella della premiership.
«All'interno delle alleanze è chiaro che ci sia anche concorrenza: con la legge elettorale precedente si indicava con chiarezza chi fosse il capo della coalizione ora non è così. Meloni ha infatti dovuto imporre che la premiership sarebbe stata del partito con più voti. D'altronde gran parte di chi voterà il centrodestra va a votare Meloni. Ma ovviamente, nonostante l'impegno per mostrare compattezza, adesso le differenze iniziano ad emergere».


In questa fase è stata soprattutto la politica estera a svelato tratti in parte inconciliabili, è così?
«Questa campagna elettorale è stata molto centrata sulla politica estera, non solo sui rapporti tra l'Italia e l'Europa che fanno parte del normale dibattito politico. Ma anche e soprattutto nei confronti della Russia, sia per la guerra sia per la paura di infiltrazioni della famosa spia, il pericolo nucleare, quello degli hacker. Di solito le campagne italiane si giocano molto più sulla politica interna, che in questo caso poteva contare su un programma condiviso».


La Puglia è considerata tra le regioni che potrebbero riservare delle sorprese in queste elezioni. Anche la campagna elettorale qui ha avuto delle sue peculiarità precise, prima tra tutte il tentativo di mediazione con il M5s del presidente della Regione Michele Emiliano. Che ne pensa?
«Emiliano ha dato voce alla convinzione di molti che non avesse senso, di fronte a un centrodestra unito, non mettere insieme due forze che avevano governato bene, con pezzi di programma già condiviso e proposte di legge a un passo dall'approvazione. In questo, la Puglia oggi sembra funzionare come laboratorio politico, soprattutto in una regione del Mezzogiorno dove il M5s, com'è noto, è più forte».


Quella appena conclusa è stata una campagna elettorale in buona parte giocata sulla figura dei leader. anche a scapito degli esponenti locali. Questo che limiti ha avuto?
«Questo approccio ha certamente impedito che ci fosse un rafforzamento dell'affezione verso i candidati locali indirizzando buona parte dell'attenzione sui leader dei diversi schieramenti. In questo tipo di competizione e ancor di più in queste elezioni, la forza emotiva è molto meno razionale di quello che si crede. Ma quanti hanno letto veramente il programma? Quanti sanno chi sono i candidati locali, anche visto che una certa quota è costituita dai cosiddetti catapultati? Si vota sulla base di una serie di percezioni, avversioni, tradizioni. Su una sorta di auto-identificazione a prescindere che in questo caso potrebbe essere ancora maggiore. Gli spostamenti reali del voto riguardano poche persone e aree molto limitrofe».
 

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