Edili pronti a ripartire: «Ma sui cantieri serviranno i dispositivi di protezione»

Edili pronti a ripartire: «Ma sui cantieri serviranno i dispositivi di protezione»
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Domenica 19 Aprile 2020, 09:35 - Ultimo aggiornamento: 10:40

Ripartire sì, ma prima la sicurezza degli addetti. E per garantirla bisognerà essere forniti di un’adeguata quantità di dispositivi di protezione. Il mondo delle costruzioni chiede una riapertura dei cantieri in tempi stretti, per non mettere ulteriormente in ginocchio un comparto che già prima del coronavirus faceva i conti con numeri da crisi. Ma ora, è il ragionamento del mondo dell’edilizia, con i dati sui contagi in Puglia da tenere sì sotto controllo ma che fortunatamente non si avvicinano alle drammatiche cifre del Nord, è il caso di avviare la tanto sospirata “fase-2”. In piena sicurezza, però. La pensa così il presidente di Ance Taranto Paolo Campagna: «Le imprese che si occupano prevalentemente di lavori pubblici vogliono ripartire, anche se non nascondono una certa preoccupazione per il reperimento dei Dpi e per la responsabilità di eventuali contagi in ambito cantieristico, responsabilità che rischia di ricadere sul datore di lavoro. Tra l’altro, al di là di tutti gli accorgimenti che il titolare può prendere, gli operai potrebbero contagiarsi in altre circostanze, creando poi confusione sulle reali responsabilità. Anche su questo fronte aspettiamo i dovuti chiarimenti». Non solo: un altro problema riguarda i costi.

«A cominciare da quelli della sicurezza - dice Campagna -, che saranno sicuramente superiori rispetto a quelli del passato. Ma poi vanno considerati anche i costi realizzativi, perché il mantenimento della distanze di sicurezza potrebbe rendere necessario ridurre la manodopera, con tempi più lunghi per la costruzione». A proposito di tempi, Campagna inoltre si interroga: «Se si tratta di una situazione da portare avanti per un paio di mesi, uscendone magari alla fine dell’estate, è un conto. Ma se dovesse durare per un intero anno, la questione si fa ben diversa, e a giudicare da quanto sostengono gli esperti sembra assai probabile che con l’arrivo dell’autunno i contagi torneranno purtroppo a salire». Il numero uno degli edili di Taranto parla poi delle imprese che operano prevalentemente per il privato: «Qui si apre tutto un altro fronte - dice -, con le aziende che sono più perplesse di fronte all’idea di una ripresa. Posso anche comprenderle: in quel caso tornare a lavorare vuol dire spendere in assenza di un mercato: in pochi faranno ristrutturazioni, e anche i lavori finalizzati almercato immobiliare saranno piuttosto fermi. Bisognerà creare agevolazioni fiscali molto vantaggiose per incentivare alla realizzazione di opere». Campagna rappresenta tutte le realtà del settore edile jonico, ma personalmente osserva: «Bene la riapertura in tempi brevi, ma nella massima sicurezza. La provincia di Taranto, tra l’altro, è tra quelle meno colpite. Le condizioni per ripartire ci sono, inutile aspettare. Aspettare poi cosa? Il virus, purtroppo, non sparirà a maggio».

Molto chiara è anche la posizione del presidente di Ance Lecce Giampiero Rizzo, anch’egli molto preoccupato dalla fornitura dei dispositivi di protezione. «Ce ne saranno a sufficienza per i cantieri, considerando che sarà necessario un ricambio continuo?». Per quanto riguarda le misure di sostegno al comparto, Rizzo ricorda che esiste una strada molto più utile: «Anziché spingere le imprese a chiedere prestiti e quindi a fare debiti, basterebbe che lo Stato provvedesse a pagare ciò che gli enti appaltanti devono alle aziende». Nei giorni scorsi il presidente della Regione Michele Emiliano aveva invitato gli enti a provvedere ai pagamenti con la massima urgenza per permettere alle aziende di affrontare questo periodo di crisi: «Da quel che mi risulta attraverso i contatti con i nostri associati, di accelerazioni e anticipazioni sui pagamenti non vi è la minima traccia», spiega Rizzo. «Inoltre - conclude Rizzo - andrebbe abolito lo split payment, che permette alla Pubblica amministrazione di non pagare l’Iva sulle fatture emesse dall’impresa.

In questo modo viene sottratta liquidità al sistema per circa due miliardi e mezzo di euro all’anno, ossia il 10-15% del fatturato delle imprese che lavorano per la pubblica amministrazione».

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