«Le donne? Hanno più potere a destra perché non hanno smesso di lottare»: a confronto con Ritanna Armeni

«Le donne? Hanno più potere a destra perché non hanno smesso di lottare»: a confronto con Ritanna Armeni
di Paola ANCORA
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Martedì 8 Marzo 2022, 11:43 - Ultimo aggiornamento: 11:55

Femminista, in gioventù simpatizzante dell'organizzazione extraparlamentare Potere Operaio. E poi una lunga carriera da giornalista e saggista, Ritanna Armeni è convinta che il movimento delle donne non si sia esaurito nel Secolo Breve, ma che, anzi, si sia esteso, anche nella - qualche volta - faticosa ricerca di un adattamento e di strade nuove per parlare alla platea multiculturale e multietnica delle giovani di oggi.


Cosa vuol dire oggi, per lei, la parola femminismo? Nell'epoca che viviamo ha ancora un significato?
«Ne ha oggi uno grandissimo, più profondo che nei decenni scorsi. Soffermiamoci, per esempio, sulla guerra alla quale assistiamo. So bene che nella Storia anche le donne hanno fatto la guerra, ma i volti maschili sono la maggior parte: Putin, Zelensky, Biden e potremmo continuare. Esiste un carattere maschile della guerra e anche in questa esperienza tragica pesa l'assenza delle donne. Un tempo parlare di femminismo significava lottare per vedersi riconosciuta la libertà, il potere. Oggi il senso è costruire un mondo migliore di questo».

Qualsiasi costruzione di un mondo diverso, però, passa attraverso la politica. Perché, oggi, la maggior parte delle donne che hanno potere milita nei partiti conservatori, nel centrodestra o anche nella destra pura? Cosa è accaduto al Dna della sinistra, nella quale le donne fanno evidentemente fatica a emergere?
«Per un motivo forse banale. Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione europea; Roberta Metsola, la giovane presidente del Parlamento europeo, Christine Lagarde a capo della Banca mondiale: sono tre cariche di massimo livello occupate da tre donne di centrodestra o di destra. Perché in quello schieramento le donne hanno saputo mantenere vive la rabbia, la voglia di arrivare, la forza dell'emancipazione per ottenere il potere».

E dall'altra parte no?
«A sinistra, certi temi e problemi sono stati edulcorati, ci si è dimenticate di avere antagonisti maschili, ci si è accontentate delle quote, ci si è misurate con le promesse fatte dai leader, pronti sempre, a parole, a qualunque cosa. Tutto questo ci ha fatto perdere capacità propulsiva. Il femminismo è trasversale, la voglia delle donne di governare il loro mondo e se stesse è comune a tutte, ma alla fine è molto importante con chi ci si confronta.

A destra, con degli antagonisti, tradizionalmente meno aperti al mondo femminile; a sinistra con qualcosa di diverso, con una continua promessa».

Che cosa pensa della battaglia per il linguaggio? Schematizzo: la lotta per l'uso della Schwa ha trovato spazi di confronto molto più ampi, oggi, di quella per i diritti civili e sociali, diventati ormai quasi una battaglia di retroguardia. È possibile tenere insieme questi due fronti, farne due alleati?
«È un tema molto complicato. La mia esperienza di femminista mi dice che i modi con i quali le donne possono ribellarsi e costruire la loro storia sono vari. Per le più giovani la battaglia del linguaggio è molto importante, perché probabilmente hanno acquisito già una certa libertà in ambiti diversi, dalla scuola al mondo delle professioni. La battaglia della lingua non la ritengo giusta in sé, ma giusta perché segnala un problema. Quando lavoravo nelle redazioni, venivo indicata come l'inviato Ritanna Armeni: ecco, nella battaglia del linguaggio c'è da rivendicare innanzitutto l'italiano e successivamente femminilizzazione delle professioni. Forse non è la soluzione di tutto, ma ha il grande pregio di porre il problema delle donne in modo radicale, di avere una indiscutibile forza eversiva. È sbagliato declinare una parola in un certo modo? Bene, risolvete voi questo problema».

Restano sul tavolo, però, problemi altrettanto gravi: la parità dei salari, l'accesso alle cariche elettive, la garanzia di servizi alle lavoratrici, solo per citarne alcuni.
«La disattenzione verso il tema dei diritti non riguarda più solo le donne, ma la società in generale che, spesso, usa le donne per combattere battaglie contro le donne e gli uomini. I temi del lavoro, della diseguaglianza, della sottomissione sono molto trascurati. E le donne spesso, e non perché lo vogliano, vengono usate per oscurare altri problemi. Magari ci sono otto ministre in un Governo, ma nessuno si occupa della parità salariale. Poi le vie dell'emancipazione femminile sono infinite: ci sono state donne di fede che hanno fatto della loro incrollabile fiducia in Dio lo strumento di lotta contro l'oscurantismo, altre donne decise a combattere Hitler facendo della guerra il loro strumento. Non bisogna fermarsi».

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