Conversazione con De Picciotto: «Investire qui? Bello, ma manca cultura d'impresa»

René De Picciotto
René De Picciotto
di Giuseppe ARGO
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Giovedì 5 Agosto 2021, 05:00

Un pomeriggio d’estate, di quelli che spandono un caldo torrido alle latitudini pugliesi, dal Gargano al Salento. Sotto il sole cocente bolle anche Ostuni. Nel Palazzo Roma, rimesso a nuovo e declinato a un utilizzo non più esclusivo, il refrigerio: la cultura coniugata nella sua anima tradizionale dello spettacolo dal vivo e in quella del food, secondo le radici vive e prodighe del territorio. Il padrone di casa è schietto, risponde agli scettici del binomio cultura-business e mette subito in chiaro che quella struttura, ripensata in una logica inedita, è l’esito di un percorso lungo, per tratti fatto di curve e rampe strette. Eppure René De Picciotto aveva in mente proprio quello spazio, una tessera incastrata sul doppio quadro della ristorazione e dello spettacolo, non una sovrapposizione all’esistente ma una genesi originale, capace di differenziare (integrando) l’offerta del territorio. In fondo, ogni investimento deve portare con sé qualcosa di nuovo, è la ragione stessa di un’idea economica, una voce al singolare in un paesaggio improntato alla tradizione e alla stagionalità. E molti sono anche i suoi investimenti nel Salento: è socio di riferimento del Lecce Calcio e ha investito nell’ex Banco di Napoli a Lecce, divenuto una struttura extra lusso.

Gli investimenti
«Quando sono arrivato in Puglia non avevo un programma di investimenti - ha detto De Picciotto, un imprenditore che ha deciso di sposare la nostra regione - poi ne ho apprezzato i luoghi, mi sono innamorato dell’universo delle masserie e ho capito che questa terra ha un grande bacino per l’intrapresa economica, per questo ho cominciato ad articolare un piano che mi ha portato ad acquistare nel 2013 la fortezza, Pettolecchia, nel territorio di Fasano, e recuperare la spiaggia prospiciente creando un lido attrezzato e offrendo un tratto libero. Nel 2017 abbiamo cominciato a Ostuni, nel 2018 a Lecce, insomma un raggio di sviluppo orientato al Sud della Puglia». Un cammino verso Sud sostenuto dalla bellezza dei luoghi, dalle anime che attraversano una terra bagnata dal mare come le pagine della sua memoria, sedimenti di pietra in forma di masserie, muretti e dimore storiche che digradano sul mare. La Puglia appare come una terra spalancata e sincera, inondata di luce che spazza qualsiasi segreto. Tutto bello ma «Rimane ancora poco spazio per l’investitore privato, è come se sulla bellezza dell’arte e della storia esistesse un monopolio pubblico, una lunga mano esclusiva ed escludente, per questo il privato vede ridursi al minimo le sue prerogative. Aggiunga anche che non c’è cultura economica d’impresa, salvo isolati episodi di capitalismo di rapina che fanno male perché generano aspettative ma non valore nel lungo periodo. Bisognerebbe dare più fiducia ai privati, incoraggiarli a investire, a cogliere le infinite risorse del territorio, a offrire servizi più efficienti e a creare un cortocircuito nell’idea collettiva per cui certe cose spettano di diritto allo Stato. Non è così se non per una visione culturale tramandata, un ordine costituito che si prende per buono. Il privato può integrare e sopperire, arrivare prima e in maniera più diretta, garantire risposte più celeri, essere sussidiario al pubblico quando serve, dare più duttilità al tessuto culturale ed economico». 

I cittadini e le istituzioni
In un sistema democratico di diritto, il cambiamento nasce dal basso, dalla consapevolezza, dalla capacità di condividere una nuova coscienza collettiva, ma al punto di caduta si arriva attraverso un cammino naturale o infondendo linfa a un processo. E tra le righe il messaggio, a chiarire il senso del suo recente investimento: «Il cittadino – sottolinea De Picciotto - deve comprendere la necessità del cambiamento, la volontà deriva sempre dalla presa di coscienza, ma difficilmente ci arriva da solo con gli strumenti culturali che ha a disposizione, a volte non è messo scientemente nelle condizioni. Quando vota, vota per chi c’è e per chi può. Se si aspetta l’evoluzione naturale ci vorranno duemila anni, ma il cambiamento deve essere cercato e determinato. Occorre una guida chiara, onesta, condivisa. E occorre che la classe media di questo Paese, quella fatta di gente colta, intelligente e attiva, si metta in gioco piuttosto che rimanere a casa. Le assicuro che la salita è meno ripida di quanto possa immaginare. Pensi alla scalata del Movimento 5 Stelle, muscolare ma non irripetibile, poi però servono le idee e le competenze per continuare».
Dalla partecipazione alle recenti polemiche sulle trasformazioni di Palazzo Roma il passo è breve. «Spiace soprattutto che il dissenso sia sollevato da cittadini che conoscono il progetto, che ne hanno seguito l’evoluzione e i procedimenti.

L’ex cinema teatro Roma non è mai stato di proprietà pubblica e non è diventato privato dal momento che lo era già. Abbiamo rinunciato a un contributo comunale e messo la struttura nella disponibilità dell’Amministrazione per un certo numero di giorni all’anno: è vero, l’intervento non si è limitato a ristrutturare ma ha aggiunto funzioni e servizi restituendo una realtà dinamica e innovativa, che supera lo schema tradizionale della sala da spettacolo. Ripensando gli spazi sarà possibile diversificare la programmazione tra teatro, cinema e musica». 

La trasformazione del territorio
La trasformazione di un territorio è un processo culturale che parte da lontano, le città devono diventare grandi piazze nelle quali attecchiscano nuove sinergie e nuovi dialoghi, le istituzioni devono invece facilitare, diventare sponde sensibili, disegnare percorsi di innovazione stimando l’impatto economico e ambientale. «La cultura è sempre stata amica e complice dei processi economici. Il Sud dell’Italia, e la Puglia non fa eccezione, è una sconfinata geografia di talenti naturali. Manca tuttavia la coscienza collettiva, il carburante comune che metta in moto un cammino di sviluppo con benefici per tutti. Io dico sempre che occorre aumentare la torta in modo che le porzioni soddisfino tutti, e mi creda, la Puglia ha un potenziale di accrescimento che altre regioni non hanno. Questa terra è il punto di incontro tra storia e bellezza, la civiltà del mare l’ha resa approdo e partenza, la natura l’ha forgiata con forme e colori impressionisti. Credo che il Piano nazionale di resistenza e resilienza sia una opportunità. Certo, tanto dipenderà dalla qualità della spesa ma dalla pandemia è derivato un salvagente per l’economia del Paese, il cui debito l’avrebbe presto portata al collasso. Come è accaduto in Grecia. Il Sud non deve aspettare che arrivino i soldi, se si pone così rischia di replicare l’esperienza della Cassa per il Mezzogiorno. Il Sud merita più di quello che ha e più di quello che fa. Dall’Unità d’Italia si è appiattito su un ruolo da comprimario indolente, rimorchio di un Nord produttivo e performante. Sa cosa è successo? Questo immaginario col tempo è diventato rassegnazione, noi tutti siamo convinti che è così fatalmente, che il destino è connaturato nella geografia e non possiamo farci niente. Questo fenomeno è molto pericoloso. Dieci anni fa lessi “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi. Al tempo mi interrogavo sul significato, oggi ci penso ogni volta che incontro un Sud respingente e arroccato».
L’impronta artistica della nuova sala? De Picciotto la svela confidando i suoi interessi in materia musicale e cinematografica. «Amo le canzoni di Aznavour, l’attore chansonnier che stregò Edith Piaf e Truffaut, ma anche la musica classica e da camera, con un debole per Schubert. Le mie preferenze guardano al passato anche per il cinema, con i film degli anni Quaranta e Cinquanta, il periodo nel quale il cinema era diviso tra il sentimento della novità, dell’alternativa, e l’idea della sala nella quale vivere in silenzio lo schermo, compresi quelli neorealisti che hanno raccontato le tante storie, i drammi e le ambizioni di piccoli grandi sognatori. Un’epoca italiana di cui abbiamo perso lo slancio e la curiosità. Mi tengo a distanza dai sensazionalismi e dai film d’azione contemporanei, in cui l’appeal sia basato sui soli effetti speciali».

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