L'analisi/Dall'Emilia Romagna alla Calabria: i verdetti e le "lezioni" in vista del voto in Puglia

L'analisi/Dall'Emilia Romagna alla Calabria: i verdetti e le "lezioni" in vista del voto in Puglia
di Francesco G. GIOFFREDI
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Martedì 28 Gennaio 2020, 10:35 - Ultimo aggiornamento: 11:40

Due verdetti, molti piani che s'incrociano e quattro "lezioni" in prospettiva pugliese. Le elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria tracimano dal rispettivo bacino geografico e si diramano in più direzioni. Innanzitutto verso Roma, perché il voto emiliano-romagnolo era stato impostato (perlopiù dalla Lega) come una specie di referendum sul governo giallorosso. E poi c'è il riflesso, immediato o più diluito, sulle elezioni regionali di primavera - Puglia compresa. Così s'era detto alla vigilia e così, in effetti, sarà. La fotografia nazionale è nitida: il centrosinistra dell'uscente Stefano Bonaccini alza l'argine e difende la roccaforte rossa dell'Emilia Romagna, mobilitando l'elettorato (bene l'affluenza) e disinnescando l'ondata leghista; il centrodestra fa lievitare i consensi in entrambe le regioni, conquista la Calabria (con la forzista Jole Santelli), ma Matteo Salvini paga pegno all'eccesso di personalizzazione e polarizzazione in Emilia; i cinque stelle si condannano all'irrilevanza e l'analisi dei flussi elettorali decreta una migrazione dell'elettorato "giallo" verso Bonaccini. Si tratta di verdetti che condizioneranno scelte e dibattito in Puglia? Sì. Per esempio: la Lega potrebbe abbassare il tiro, lasciando strada libera alla candidatura di Raffaele Fitto per il centrodestra pugliese. Ma il quadro partorito dalla notte elettorale è esportabile tout court e per intero da Bologna e Reggio Calabria a Bari? No, o almeno solo in parte. Vediamo perché.

La prima "lezione" è per la "coalizione della Puglia" (non si chiama più centrosinistra) guidata da Michele Emiliano. Come e perché ha vinto Bonaccini? Il governatore modenese, che pure è stato spalleggiato da un Pd regionale in salute (a differenza di quello pugliese), si è concentrato in campagna elettorale sull'evoluto modello di governo, sul programma, sui (tanti) risultati traguardati, sulla concretezza, senza torsioni populiste, senza evocare troppo lo spettro del pericolo leghista e senza annunciare comitati di resistenza regionale. Insomma: sui piatti pesa soprattutto la qualità della proposta regionale e il bilancio delle cose fatte, più che la logica coagulante del "contro" e del "nemico". Appunti utili per Emiliano, che perciò dovrà appellarsi soprattutto a programmi e idee per risvegliare l'elettorato pugliese.

La seconda "lezione" è perlopiù politica: l'offerta di Bonaccini è schiettamente di centrosinistra, tiene insieme ambiente e produttivisti, ma senza nessuna, disordinata "grande coalizione". Va anche ricordato che in Emilia Romagna il successo è frutto, in ampia misura, di specificità territoriali: il segretario Pd Nicola Zingaretti già sente «il vento che sta cambiando», ma non necessariamente quel vento gonfierà altre vele per il centrosinistra. Tradotto: tutte le future sfide, a cominciare da quella pugliese, potranno sì sfruttare un po' dell'inerzia emiliano-romagnola, ma dovranno essere costruite e conquistate pezzo dopo pezzo. Né il centrosinistra brilla sempre per compattezza: Italia viva ha sostenuto Bonaccini, il Pd ora rafforzato sarà un freno per gli strappi di Matteo Renzi, ma nonostante tutto l'ex premier ieri ha già candidato Italia viva al ruolo di "centro di raccolta" dei moderati delusi e spaventati dal populismo. Insomma: Renzi insiste col progetto del centro liberaldemocratico e il primo esperimento dovrebbe essere proprio in Puglia, con un candidato autonomo in virtù dell'irriducibile inconciliabilità con Emiliano. Un bel problema per il governatore pugliese, che così sarà costretto - a differenza di Bonaccini - a fare i conti con una fuoriuscita di voti renziani. Particolare non trascurabile.

La terza "lezione" riguarda i cinque stelle. L'Istituto Cattaneo ha analizzato i flussi in Emilia Romagna e spiegato che l'elettorato pentastellato s'è spostato sul voto utile a Bonaccini, che perciò ha beneficiato anche di questa fetta di consenso: difficilmente accadrà in Puglia a vantaggio di Emiliano. Non solo perché i rapporti sono ai minimi termini, ma anche perché qui il M5s nutre ambizioni più consistenti e già cinque anni fa, a sorpresa, si installò sul secondo gradino del podio eleggendo otto consiglieri. La doppia elezione regionale di domenica lancia però l'allarme per i cinque stelle: il crollo è verticale e generalizzato, la fase è delicata e di transizione, l'elettorato evidentemente chiede al movimento una scelta di campo. In sostanza, anche in Puglia le elezioni di primavera diventano un rebus per il M5s, alla luce pure della dinamica bipolarista intravista domenica e che rischia di schiacciare il movimento.

La quarta "lezione" è infine per il centrodestra. In Emilia Romagna Salvini ha forzato la mano investendo il voto di sensi e segni a tutto tondo. Una personalizzazione e un'estremizzazione del messaggio e dei toni che si sono rivelate un boomerang: i governi territoriali sono spesso altra storia rispetto al palcoscenico nazionale, il "trapianto di leghismo" non sempre riesce e ora gli alleati sono pronti, nelle segrete stanze, a ribadirlo e rinfacciarlo all'ex vicepremier. Forza Italia e Fratelli d'Italia tirano un sospiro di sollievo e invocano già la collegialità della coalizione: i berlusconiani mostrano vitalità in Calabria, dove la Lega cresce ma va poco oltre il 12%; FdI conferma il recente buon trend e pretende il rispetto dei patti e perciò la prelazione sulle candidature in Puglia e nelle Marche. Soprattutto al Sud, e il quadro pugliese è emblematico, gli incastri tra classi dirigenti del centrodestra sono quindi una complessa alchimia sempre a rischio veti e rottura, che va oltre i messaggi mainstream della propaganda nazionale: lo sa Forza Italia, lo sa FdI, lo sa Fitto e comincia a scoprirlo anche la Lega di Salvini.

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