Dall’Egitto a Taranto: Unicusano presenta il progetto a idrogeno per il futuro dell’Ex Ilva

Dall’Egitto a Taranto: Unicusano presenta il progetto a idrogeno per il futuro dell’Ex Ilva
di Domenico PALMIOTTI
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Venerdì 11 Novembre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:37

Dall’Egitto a Taranto, dalle rive del Nilo allo Jonio, si potrebbe aprire un’altra strada per l’idrogeno verde. È il progetto che lunedì prossimo l’Università privata Niccolò Cusano presenterà attraverso lo spin off “Hydrozero” alla Cop 27 in corso a Sharm el-Sheikh sui cambiamenti del clima. Obiettivo a regime: tagliare 4,5 milioni di tonnellate di CO2 l’anno e avere 167mila tonnellate di energia pulita. La struttura del progetto è questa: dal fotovoltaico che verrebbe installato in Egitto si ricaverebbe energia pulita (e rinnovabile) da trasportare poi, con la rete esistente, al porto di Alessandria d’Egitto.

Dall'Egitto a Taranto via Sicilia

Qui l’energia, con l’uso degli elettrolizzatori, sarebbe impiegata per produrre l’idrogeno verde. Quest’ultimo, insieme all’energia, in parte resterebbe in Egitto e in parte convogliato verso l’Italia. Verso il nostro Paese l’idrogeno prenderebbe due strade: immesso nel gasdotto Greenstream già esistente, che collega l’Egitto all’Italia (arriva a Gela, in Sicilia), e destinato ad un impianto di liquefazione. In questo secondo caso, si spiega, il prodotto sarà trasportato a Taranto, sede della più grande acciaieria d’Europa (Acciaierie d’Italia, ex Ilva), via tank container nella prima fase e successivamente attraverso quattro navi gasiere dotate ciascuna di tre sfere da 4.500 metri cubi.

Si punta, infatti, al trasferimento dell’idrogeno in forma gassosa ad utenze del Sud Italia, soprattutto quelle che emettono grandi quantità di CO2. Si parte dall’Egitto perché ci sono le condizioni per installare estesi parchi fotovoltaici. In particolare, ci sono un livello elevato di insolazione, una disponibilità di terreno praticamente illimitata e l’area prossima al Nilo è prevalentemente desertica. Condizioni agevoli, almeno in via teorica, ci sono anche per l’uso di GreenStream. Che è un gasdotto gestito da Eni e NOC (National Oil Corporation). È lungo 520 chilometri e collega la costa libica con quella italiana. Il sistema è parte del Western Libya Gas System e comprende la centrale di compressione di Mellitah, affiancata agli impianti di trattamento gas, la quale comprime il gas da esportare fino alle pressioni richieste per il trasporto fino al mercato italiano; una tubazione sottomarina per il trasporto del gas naturale da Mellitah alla Sicilia (la profondità massima sul fondo del mare è di 1.150 metri); una tubazione sottomarina di 7,4 chilometri sulla costa italiana; il terminale di Gela per ricevere il gas dalla condotta sottomarina e immetterlo nella rete italiana. GreenStream è una delle più importanti infrastrutture energetiche.

Il nodo delle infrastrutture tarantine

Lo sviluppo dell’iniziativa potrebbe peró essere problematico a Taranto. E non perché non si voglia la decarbonizzazione dell’ex Ilva. Anzi, questa è una priorità e nei vari piani industriali prospettati negli ultimi tempi l’uso dell’idrogeno verde è previsto. Anche il decreto Aiuti, che delibera un miliardo di euro per la costruzione di un impianto di preridotto (semilavorato che nel ciclo siderurgico riduce l’uso di coke e minerali e quindi le emissioni inquinanti), stabilisce che la sua alimentazione deve avvenire con l’idrogeno verde. Scontata quindi l’utilità dell’idrogeno verde, anche se in siderurgia non si è ancora ad un livello di definizione industriale, il punto da chiarire riguarderebbe le modalità dell’arrivo a Taranto. E quindi la gestione dei tank container nella prima fase e delle navi gasiere in quella successiva. Provando anzitutto a verificare se, a parte gli spazi operativi (banchine ed aree), ci sono eventuali interferenze con le attività portuali e marittime. Secondo le stime dei ricercatori della spin-off Hydrozero di Unicusano, se si sfruttasse l’energia solare come fonte primaria “ipotizzando di produrre la stessa energia con centrali alimentate a metano, con un rendimento ipotizzato del 35%, si avrebbe un risparmio di CO2 di 10.500 tonnellate all’anno”. Inoltre, con l’avvio della fase 2 gli esperti della spin-off sostengono che, alimentando i fabbisogni di idrogeno della acciaieria di Taranto in un’ottica di riconversione da altoforno a forno elettrico per la produzione di 2.500.000 tonnellate all’anno di acciaio, prevedendo una cessione all’Egitto del 25% dell’idrogeno prodotto, nonché un sovradimensionamento degli impianti del 5% per far fronte alle perdite, “si otterrebbe un risparmio di CO2 di 4.500.000 tonnellate all’anno”. 

Il risparmio di C02 stimato 


I numeri del progetto indicano una produzione di energia fotovoltaica di 10,5 MWe nella prima fase e di 4,5 GWe in una possibile seconda fase. L’idrogeno gassoso che verrebbe ricavato ammonterebbe invece a 330 tonnellate l’anno nella prima fase e a 167mila nella seconda. Le 167mila tonnellate di idrogeno andrebbero per il 25% all’Egitto e per il 75% all’Europa. Oltre a Hydrozero di Unicusano, sono coinvolti anche IAT e S.R.S.. Lunedì, a Cop 27, interverranno per il team di ricerca Giuseppe Cherubini, direttore generale IAT, e Antonio Naviglio, presidente S.R.S.

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