Crisi, l'intervista al sociologo Luigi Spedicato: «I salariati fissi sono sempre più poveri: scivoliamo verso il conflitto sociale»

Crisi, l'intervista al sociologo Luigi Spedicato: «I salariati fissi sono sempre più poveri: scivoliamo verso il conflitto sociale»
di Paola ANCORA
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Domenica 6 Marzo 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 12:43

La crisi economica del 2009, i cui strascichi hanno influenzato più di un decennio. Poi la pandemia, i primi segnali di speranza e di ripresa e, infine, la guerra in Ucraina a far ripiombare il mondo intero nell’angoscia di una crisi della quale non si vede la fine, mentre i prezzi dell’energia e dei beni di maggior consumo continuano a salire e il numero delle vertenze di lavoro a moltiplicarsi. «Gli ingredienti per un conflitto sociale ci sono tutti, la domanda è solo quando esploderà» dice il sociologo Luigi Spedicato, professore associato di Sociologia dei processi culturali a Unisalento.

Professore quale ritiene sia l’impatto sociale di questa crisi?
«Rispetto allo scenario internazionale che ha citato, per le famiglie si tratta di un impatto molto amplificato da alcune debolezze strutturali del sistema Italia. E sono quelle sulle quali bisogna riflettere. Abbiamo un bassissimo livello di occupazione di donne e giovani, livello significativamente inferiore alle medie europea e dei Paesi più avanzati. Questo è un primo forte elemento di debolezza perché crea sacche di dipendenza e contribuisce ad aumentare situazioni di povertà».
Qual è il secondo elemento di debolezza strutturale del nostro territorio?
«Il secondo elemento riguarda il fatto che la crescita della povertà in Italia è solo in parte legata all’aumento prezzi. Come hanno confermato Bankitalia e diverse indagini demoscopiche, infatti, la povertà aumenta in particolare fra i salariati fissi. Questo è un fenomeno nuovo e che erode alla base una serie di elementi: l’attitudine al risparmio, la capacità di accompagnare i figli nel processo di conquista dell’autonomia fino alla formazione di una nuova famiglia. Tutto questo ha radici nel processo di destrutturazione del mercato di lavoro avviato negli ultimi decenni. E non ci sono quindi interventi di breve respiro che possano risolvere il problema. Non solo». 
Cos’altro?
«Hanno una certa influenza su questa crisi anche la scarsa capacità di innovare del sistema economico italiano, il boom di forme precarie e instabili di lavoro e il progressivo allargamento della forbice pensionistica legata alla crisi demografica, un dato importante sul quale l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri aveva lanciato l’allarme. La pensione è infatti un reddito differito che paga chi lavora. Se si riduce il numero delle persone che lavora e anche l’importo da queste versato perché i salari si sono ridotti, allora aumenta anche la povertà».<>
Di quanto sono diminuiti i salari reali, ovvero ancorati al costo della vita?
«Secondo l’European Trade Union Institute fra il 2010 e il 2017 gli stipendi reali in Italia si sono ridotti del 4,3%».
Siamo alla vigilia di un nuovo conflitto sociale? Pensa ci siano elementi comuni alle crisi del Sessantotto o, ancora più gravemente, degli anni Settanta del Novecento?
«I paragoni storici sono sempre pericolosi perché sottovalutano le differenze d’epoca. Certamente, nonostante la fisiologica capacità di adattamento dei blocchi sociali alle difficoltà contingenti, continuiamo ad assistere a pericolosi scricchiolii del tessuto sociale. Stiamo scivolando verso il conflitto, che è innanzitutto generazionale e poi di genere. Il conflitto si manifesta anche nella ripartizione della ricchezza: se i soldi vengono garantiti alle aziende, allora non ci saranno per le politiche sociali. Non a caso si è tornati a investire nella sanità perché c’è stata una pandemia».
Quali sono gli interventi necessari a impedire lo sfilacciamento del tessuto sociale?
«Non servono interventi di maquillage. Si pensi al Reddito di Cittadinanza: se si viene meno alla promessa di aiutare le persone nel reinserimento lavorativo, allora l’unica alternativa resta dare ai cittadini poco denaro ogni mese. Ma così viene meno il patto di cittadinanza, deresponsabilizzando le persone e lo Stato. Quanto tempo può reggere il tradimento del patto sociale? Non a caso, l’aggravarsi della crisi corrisponde a un graduale aumento dell’astensione dal voto».
Perché?
«Il sociologo Ulrich Beck ha scritto a lungo del rapporto fra lavoro e democrazia.

Quando si indeboliscono le radici e le ragioni del lavoro allora diminuisce il senso di appartenenza a un Paese democratico. Non solo: le tensioni accumulate finiscono per scaricarsi nella famiglia, minando anche questa. Si fanno meno figli, si ha meno denaro perché si intaccano i risparmi per mantenere figli che anche fino a 40 anni non hanno lavoro stabile. È un circolo vizioso e per questo che il conflitto si svilupperà verso forme sempre più evidenti è fuori discussione».

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