L'aridocoltura per combattere la siccità. «Così coltiviamo pomodori senza acqua»

L'aridocoltura per combattere la siccità. «Così coltiviamo pomodori senza acqua»
di Stefano MARTELLA
4 Minuti di Lettura
Martedì 2 Agosto 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18:03

L’agricoltura è uno dei settori maggiormente impattanti per quanto riguarda lo sfruttamento idrico. Anche gli agricoltori hanno responsabilità e un ruolo determinate nella gestione di questa risorsa. Per anni, grazie all’abbondanza di acqua, si è cercato di sfruttare terreni per ottenere prodotti più richiesti dal mercato e quindi più redditizi, ma non adatti a certi tipi di suolo. Adesso qualche agricoltore inizia a prendere consapevolezza, iniziando ad adottare un cambiamento dei metodi di irrigazione ma anche delle stesse coltivazioni, prediligendo varietà che hanno bisogno di meno acqua. O in alcuni casi di zero acqua. Una testimonianza arriva dalla società cooperativa agricola Karadrà, con i terreni ad Aradeo, in provincia di Lecce, che per contrastare il prosciugamento dei pozzi e la siccità ha avviato delle pratiche agricole in aridocoltura. In pratica coltivano varietà che non hanno bisogno di acqua. Il pomodoro, soprattutto. 

Roberta Bruno (in foto), 38 anni, presidente della cooperativa. Come nasce l’idea di avviare coltivazioni in aridocultura?
«In realtà l’aridocoltura è una pratica agronomica di antichissima tradizione in ambienti caratterizzati da limitata piovosità, in particolare in quelli a clima mediterraneo, caldo-arido, come la Puglia in generale e il territorio della zona di Nardò in particolare, in cui la pioggia è concentrata nel periodo autunnale e invernale, mentre durante il periodo primaverile ed estivo scarseggia, proprio quando le colture, per le elevate temperature, hanno maggiori fabbisogni idrici.

La sfida del futuro sarà proprio quella di reagire a periodi sempre più lunghi di siccità e per questo è fondamentale lavorare per ridurre gli sprechi di acqua nella gestione irrigua».

In che cosa consistono le tecniche di aridocoltura? 
«Alla base dell’aridocoltura c’è l’ottenimento di rese migliori senza ricorrere all’irrigazione. Le tecniche si prefiggono gli obiettivi di aumentare il contenuto idrico del terreno disponibile per le piante, di contenere perdite inutili di acqua immagazzinata nel terreno, di adottare colture e tecniche di coltivazione idonee per il miglior utilizzo delle limitate risorse idriche disponibili. Le produzioni della cooperativa sono ortaggi, grani, legumi ma è soprattutto il pomodoro il pezzo forte della produzione, la coltura che non ha bisogno di acqua. Tra l’altro una varietà completamente autoctona. Esatto. Una varietà di pomodoro locale che è stata recuperata proprio dalla cooperativa, a cui abbiamo dato il nome di pomodoro di Aradeo, che è una sottovarietà del pomodoro regina. Una varietà con un apparato radicale che riesce a penetrare in profondità e a catturare l’umidità con più efficacia, sfruttando anche la brina notturna. Un pomodoro adatto a questo tipo di clima e a questo tipo di stress idrico. Quindi da una parte abbiamo sfruttato una biodiversità locale adatta ai climi con assenza di acqua, dall’altra il terreno argilloso che riesce a trattenere l’umidità. Poi ci sono tecniche come la sarchiatura, che permette al terreno di respirare e alle piante di catturare l’umidità da sole, senza bisogno di essere irrigate».

Come siete riusciti a recuperare questa varietà che sembrava scomparsa? 
«I semi ci sono stati donati da alcuni anziani di Aradeo. Ormai si stavano perdendo le tracce di questa varietà, non era reperibile sul mercato. Erano pomodori casalinghi, che un tempo venivano piantati solo nei piccoli orti familiari che spesso non venivano neanche troppo curati, a cui si dava poca acqua, quando capitava. Nel tempo questi pomodori si sono adattati a condizioni di vita estreme, con poca acqua e molto sole, in grado di adattarsi all’aridità del clima salentino. Una vera resistenza genetica. Queste condizioni hanno permesso la nascita di un pomodoro particolarmente resistente, in grado di conservarsi anche per dieci mesi dopo la raccolta, per questo viene chiamato anche pomodoro invernale».

© RIPRODUZIONE RISERVATA