Crisi e disoccupazione, in Puglia più pensioni che stipendi. I numeri

Crisi e disoccupazione, in Puglia più pensioni che stipendi. I numeri
di Mattia CHETTA
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Martedì 3 Gennaio 2023, 06:50 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 04:30

In Puglia si pagano più pensioni che stipendi. Ma c'è di più: in relazione al numero di cedolini emessi dall'Inps rispetto alle buste paga mensili, la regione è al secondo posto in Italia, seconda solo alla Sicilia. A certificare un risultato tutt'altro che positivo è l'ufficio studi della Cgia di Mestre l'associazione che riunisce artigiani e piccole imprese che incrociando i dati Istat e Inps, ha scattato una fotografia impietosa nella differenza tra pensioni erogate e lavoratori ancora attivi.

I numeri

Nel dettaglio, in Puglia i pensionati sono 1.486.000 mentre gli occupati (lavoratori autonomi e dipendenti di fabbriche, uffici e negozi) non vanno oltre il milione e 207mila. Numeri dai quali deriva una differenza tra le due platee pari a -276mila unità. Il dato affossa la regione dietro solo alla Sicilia (-340mila) che paga così a caro prezzo il divario tra lavoratori a riposo e occupati. Ma in linea più generale ancora una volta è il Mezzogiorno a registrare le tendenze negative.

Come hanno evidenziato gli analisti, nelle regioni del Sud si è raggiunta una differenza di -1.244 unità, unica area geografica nella quale si pagano più pensioni che stipendi.

Segnali positivi e incoraggianti, di contro, per le altre macroaree: +229.000 per il Centro, +601.000 per il Nord-Est e + 629.000 per il Nord-Ovest. E Lombardia, Veneto e Lazio ai primi tre posti nella graduatoria nazionale. Tornando alla Puglia, se a livello nazionale la regione è al penultimo posto in classifica, a livello territoriale è la provincia di Lecce a ottenere il dato peggiore con una differenza di -104mila unità. Seguono le province di Taranto (-60mila); Foggia (-47mila); Brindisi (-30mila); Bari (-22mila); Barletta-Andria-Trani (-13mila).

Le cause

Tra le principali cause di questo squilibrio c'è la forte denatalità che da 30 anni caratterizza la regione e fa sentire i suoi effetti anche a livello nazionale. Ormai è certo: il calo demografico ha ridotto la popolazione in età lavorativa. Tra il 2014 e il 2022, secondo Cgia, la popolazione nella fascia di età più produttiva, che va dai 25 ai 44 anni, è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità. Un calo del 2,3%. Guardando agli effetti, la disparità tra pensionati e lavoratori apre, dunque, uno scenario preoccupante che rischia seriamente di compromettere la stabilità dei conti pubblici. E ciò è ancora più vero se si tiene conto che a partire dall'anno in corso le pensioni potrebbero costare alla collettività ancora di più a causa dell'inflazione.

«Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana fa notare l'associazione potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici; in particolar modo a causa dell'aumento della spesa pensionistica, di quella farmaceutica e di quella legata alle attività di cura/assistenza alla persona». Intanto proprio in queste ore il governo di Giorgia Meloni è al lavoro per una riforma organica e complessiva della materia previdenziale. Quota 103 con almeno 62 anni di età e 41 di contributi, una rimodulazione delle percentuali di rivalutazione delle pensioni rispetto all'inflazione, una stretta su Opzione donna e l'innalzamento delle pensioni minime a 600 euro limitato agli over 75: sono alcune delle novità in arrivo nel 2023 in attesa che si apra il confronto tra governo e parti sociali a gennaio per arrivare a una riforma complessiva del sistema previdenziale che non si limiti come è accaduto negli ultimi 11 anni, da quando quindi è entrata in vigore la riforma Fornero, a limitati aggiustamenti. Si conferma invece la possibilità di andare a riposo con 67 anni di età non essendo aumentata l'aspettativa di vita e con 42 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall'età anagrafica (oltre a tre mesi di finestra mobile). La legge di Bilancio ha prorogato per un altro anno l'Ape sociale, la misura che consente a chi ha almeno 63 anni ed è in una condizione di difficoltà di avere un'indennità in attesa che si perfezionino i requisiti per la pensione.

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