Le mire dei clan: così la ripartenza è il nuovo affare

Le mire dei clan: così la ripartenza è il nuovo affare
di Mario DILIBERTO
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Martedì 12 Maggio 2020, 08:28 - Ultimo aggiornamento: 18:42
Il primo attacco della mala è scattato sulle mascherine. Con i tentativi di infilarsi nelle ricche commesse smistate in fretta e furia per affrontare l'aggressione del coronavirus. Magari approfittando della comprensibile confusione che ha inevitabilmente allargato le maglie dei controlli. Subito dopo si è puntato sulle pompe funebri e sul business delle ambulanze, per lucrare sul dolore e sui lutti provocati dal Covid-19. Ma ora si scommette sulla partita più grande, con la voglia di aggredire interi settori dell'economia salentina. Senza trascurare gli aiuti a gettone alle famiglie in difficoltà, con l'obiettivo di riconquistare consenso sociale e controllo del territorio, in parte smarriti sotto i colpi delle offensive di magistratura e forze dell'ordine.

Anche poche decine di euro in un momento come questo, secondo gli investigatori, bastano a portare dalla propria parte persone costrette a contarsi i centesimi in tasca.
Gli esperti dell'antimafia del Salento da settimane sono concentrati sulle potenziali mire della criminalità organizzata delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, alla luce della situazione disegnata dal Covid-19. Per i clan un'occasione per riguadagnare terreno tra la gente e infilarsi nel tessuto economico. Movimenti, programmi ma anche sospetti sono al centro di riunioni in videoconferenza, a livello regionale e nazionale.

L'allarme, in effetti, era stato lanciato dal Viminale quasi subito, all'indomani di intercettazioni inequivocabili rimbalzate dalla Sicilia. Dialoghi in cui si percepiva l'intenzione di sfruttare la disperazione di chi è rimasto senza reddito, per soffiare sul vento di rivolte sociali e creare l'acqua torbida in cui la mala nuota con più facilità. Poi si è dovuto fare i conti con le rivolte nelle carceri di mezza Italia, con l'incredibile evasione di massa dal penitenziario di Foggia. Squilli di una offensiva con il timbro della mala organizzata marchiato a fuoco, spie di una volontà delle consorterie di tentare di approfittare del momento di difficoltà dello Stato. Così dal ministero dell'Interno è partita una serie di circolari indirizzate a Prefetture, questure e comandi di Carabinieri e Finanza, con l'input a drizzare le antenne. Sensori che in Salento, in realtà, si ha l'abitudine di mantenere sempre accesi. Soprattutto ora che l'emergenza Covid-19 sta entrando nella fase che dal punto di vista economico si presenta più complicata.

Le aziende, infatti, sono chiamate a ripartire trascinandosi sul groppone le macerie di due mesi di blocco. Il fermo imposto dal Governo ha aperto crisi di liquidità importanti nelle situazioni floride e ha aggravato le difficoltà di chi riusciva a mantenersi a stento sulla linea di galleggiamento. Un esercito di piccole e medie imprese, ma soprattutto di famiglie che attendono segnali dal Governo. Una ciambella di salvataggio alla quale aggrapparsi per alimentare il motore rimasto all'asciutto di denaro ma attaccato da scadenze e costi che non si sono fermati. Un limbo per pochi, un inferno per troppi. In cui le misure, inzuppate di pastoie burocratiche, proposte dal Governo sono destinate a diventare un argomento per alimentare la rabbia più che la speranza.

Ecco quindi che le preoccupazioni che filtrano dai corridoi dell'Antimafia trovano sostanza. Sul terreno, va detto, i radar, perlomeno al momento, non hanno intercettato azioni concrete ma i timori sono fortissimi. E diversificati a seconda dei territori delle tre province. Dove sicuramente ristagnano importanti risorse finanziarie accumulate grazie soprattutto al business della droga. Tanti soldi in cerca di lavatrici economiche per essere ripuliti. La mala, quindi, non ha fretta. Ma è come se fosse in agguato. O meglio, in attesa. Nella consapevolezza che ben presto dall'economia sana l'esasperazione può portare più di qualcuno a bussare alle porte dell'antistato. Spalancando la strada in prima battuta all'usura, ma non solo. Da quel fronte, infatti, le risposte arrivano rapide, anche in termini di denaro. Ma è proprio da lì che comincia un percorso di non ritorno.
Nella provincia di Lecce, si sono riaccesi i riflettori su possibili tentativi di infiltrazione nel settore turistico. Un volano di sviluppo decollato negli ultimi anni e sul quale la mala organizzata da tempo ha ambizioni. Già nella relazione per primo semestre di due anni fa, gli esperti della Dia, la Direzione investigativa antimafia, segnalava di aver intercettato la volontà dei clan di aggredire il comparto.

Un allarme fortissimo visto che non riguardava solo cosche locali, che pure, secondo l'intelligence dell'antimafia, hanno ingenti patrimoni da riciclare. In quel rapporto la Dia indicava il rischio che sulle coste e sulle strutture salentine piombassero gli interessi di consorterie di altre regioni. Un implicito riferimento a Camorra e Ndrangheta alla luce dei rapporti di affari, soprattutto sul fronte del narcotraffico, tra mala napoletana e calabrese da un lato e clan salentini dall'altra.
Quell'allarme inquietante si è inevitabilmente rinverdito proprio alla luce dello spaventoso pantano in cui è piombato anche il settore turistico. Difficoltà che i clan potrebbero sfruttare per centrare il duplice scopo di riciclare i ricavi illeciti e incamerare attività destinate a ritornare a essere fonti di guadagno.

Timore analogo è quello che si fa largo anche nella provincia di Brindisi, dove però il raggio di azione individuato dagli esperti dell'antimafia sembra più spostato nel settore dell'agroalimentare. Il quel comparto, secondo le indiscrezioni, si è individuato un interesse da parte di clan storici della zona.
Diversa, infine, la radiografia del momento a Taranto e provincia, dove, per dirla con il questore jonico Giuseppe Bellassai bisogna fare i conti con una mala frizzante. La mappa criminale della città, un tempo dominio di clan fortemente radicati, oggi è piuttosto frastagliata. Ad alimentare le consorterie è in larghissima parte il business dello spaccio, mentre le difficoltà economiche del territorio preesistenti all'emergenza Covid-19, si sono acuite in maniera spaventosa. Ed è qui che, più che da altre parti, che si assiste non di rado a un fenomeno particolare: i mammasantissima non hanno bisogno di infiltrarsi perché a volte sono gli stessi operatori economici a chiedere il loro aiuto. Magari anche solo per riuscire a recuperare un credito di poche migliaia di euro. Soldi che si fa fatica a riscuotere attraverso i canali legali ma che in questo momento di crisi nerissima sono indispensabili. Così si ricorre all'influenza del boss o dell'affiliato per intimare e ottenere la restituzione del credito.

Quel denaro ottenuto con la forza, magari anche solo del nome del boss, però, diventa il grimaldello della mala per entrare da padrona in quell'attività economica. Mettendo sul tavolo il favore e il denaro recuperato per trasformarli in una sorta di partecipazione azionaria. Destinata a tradursi in mutamenti di assetti societari con imprese che passano sotto il controllo dei clan, trasformandosi in macchine per il riciclaggio di denaro sporco. Un meccanismo sul quale, nel medio periodo, determinante è il ruolo degli esperti della Finanza. Ai quali spetterà individuare cambi e spostamenti societari sospetti, attraverso il monitoraggio su ingressi e uscite di soci e iniezioni di liquidità.
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