Coronavirus, pugliese rientra dalla Cina: i vicini lo denunciano. Lui: «Mi fate schifo»

Coronavirus, pugliese rientra dalla Cina: i vicini lo denunciano. Lui: «Mi fate schifo»
di Nazareno DINOI
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Mercoledì 5 Febbraio 2020, 07:45 - Ultimo aggiornamento: 09:26
Il piccolo nucleo familiare di origini manduriane e residente a Pechino, rientrato nella città del Primitivo per allontanare il più possibile la figlioletta di tre mesi dal contagio che preoccupa la Cina e il mondo intero, gode di ottima salute. Padre di 28 anni, madre e bimba, non presentano nessun sintomo come febbre, problemi respiratori e tosse secca. È il primo dato da sottolineare anche alla luce delle polemiche e delle paure - che così si rivelano prive di fondamento - che il loro arrivo sta provocando nel comune della provincia di Taranto, dove qualcuno ha addirittura presentato un esposto alla Asl chiedendo per loro un cordone sanitario come quello dei 56 italiani rientrati da Wuhan, epicentro della diffusione del coronavirus, tenuti in quarantena nella città militare della Cecchignola a Roma.

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Una misura alla quale Gianluigi Perrone, il capofamiglia, ha deciso insieme alla sua compagna (italiana e non cinese come erroneamente riportato ieri), di sottoporsi volontariamente rispettando i protocolli inviati loro dalla Farnesina. Che consigliano la quotidiana misurazione della temperatura e di indossare la mascherina negli ambienti affollati. Procedure che i tre ospiti manduriani stanno rispettando rigorosamente da quando sono arrivati in Italia con un volo lungo e faticante iniziato a Pechino e concluso a Roma dopo un paio di scali tecnici in altri Pesi.

Il 28enne che in Cina lavora nel campo della cinematografia non ha preso bene l'accoglienza di alcuni suoi concittadini che sui social hanno espresso il peggio dell'intolleranza anche con insulti e, in alcuni casi, con minacce. Perrone non ci sta e risponde con lo stesso strumento pubblicando una foto con la scritta molto esplicativa: «Mi fate schifo». Poi il commento. «Mi sono beccato due denunce scrive -, per aver commesso il reato di aver portato mia figlia in Italia per allontanarla dal pericolo del Coronavirus a Pechino, in Cina, dove viviamo. La prima cosa fatta prima di partire - assicura Perrone -, è stata avvisare le autorità competenti e la Farnesina». E ancora.

«La prima cosa fatta appena arrivati è stata quella di andare in questura e avvisare la Asl e il più vicino reparto infettivi», che li avrebbe rassicurati circa la negatività di un contagio. Tutto questo in costante contatto con il Ministero della Salute «che mi ha confermato che noi stiamo benissimo - sottolinea ancora Perrone - e ha suggerito a chi si è preso la briga di alzare il telefono per fare la denuncia di farsi vedere da uno bravo. Mi pare che il mio comportamento sia stato corretto e civile e non ho capito se il mio reato sia quello di essere italiano». E di Manduria, nel caso specifico, dove le preoccupazioni, con meno virulenza (è il caso di dire) rispetto al primo giorno, continuano a farsi sentire. Il terreno è sempre quello dei social dove lo stesso protagonista non disdegna l'uso pubblicando commenti e resoconti divertiti sulla sua avventura che racconta volentieri ai media con collegamenti via Skype. «Mi mettono dentro la gabbia di Hannibal Lecter», commenta ironico Perrone paragonandosi al terrificante cannibale interpretato da Anthony Hopkins nel film «Il silenzio degli innocenti».

Intanto, si innalza il livello di allerta per l'epidemia polmonare da coronavirus e in Italia arrivano misure ancora più stringenti per i controlli. Mentre nella capitale dove sono ricoverati all'Istituto di malattie infettive Spallanzani, si aggravano le condizioni della coppia cinese colpita dal nuovo coronavirus. I controlli con i termoscanner sono stati infatti estesi a tutti i voli, compresi quelli europei, in arrivo negli aeroporti italiani. Negli aeroporti senza la strumentazione, i controlli saranno effettuati da volontari medici e paramedici della Crocerossa Italiana e di altre associazioni di Protezione Civile con i termometri a pistola.
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