Da Bergamo al Kosovo, da una trincea Covid all'altra: la storia del salentino maggiore dell'Esercito. «Cosa resterà? La tenacia della memoria»

Da Bergamo al Kosovo, da una trincea Covid all'altra: la storia del salentino maggiore dell'Esercito. «Cosa resterà? La tenacia della memoria»
di Stefano MARTELLA
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Venerdì 26 Novembre 2021, 14:30 - Ultimo aggiornamento: 14:32

Da una trincea Covid all’altra, nel battito di pochi mesi. Dall’ospedale di Alzano Lombardo, cittadina bergamasca simbolo della prima ondata pandemica in Italia, al Kosovo, che ha affrontato ondate pandemiche drammatiche. La storia del maggiore dell’Esercito Cristian Vito Benegiamo, originario di Lecce, è una di quelle in prima linea alla lotta al coronavirus. Benegiamo guida un team sanitario militare interforze (formato da Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri) giunto a Pristina a settembre 2020 per fornire assistenza alle istituzioni del posto. Per portare l’esperienza italiana nella lotta al virus. Un team formato da medici e infermieri militari con il compito di offrire la loro esperienza, il loro contributo alle istituzioni kosovare.

La testimonianza e la prima linea

Nelle parole del maggiore si coglie la portata del momento storico che sta vivendo l’umanità. «Siamo addestrati per fronteggiare situazioni del genere» afferma Benegiamo, sfoggiando la sicurezza ferrea del militare, la freddezza impassibile di chi è chiamato a trasmettere sicurezza. Eppure, questa situazione inedita, eccezionale, potrebbe scalfire il più solido dei profili militari. Il maggiore, sotto l’armatura, custodisce le proprie emozioni. «È la prima pandemia che affronto e devo confessare che come persona ho un coinvolgimento emotivo importante nel vedere la sofferenza di tante persone». Per chi è preparato ad affrontare conflitti bellici il nemico è qualcosa di palpabile, materializzabile, identificabile. Il virus, invece, è piccolo, minuscolo, invisibile all’occhio umano. Per questo è ancora più infido e insidioso.

Il dramma a Bergamo

E allora i ricordi scivolano verso la trincea bergamasca, dove a marzo 2020 le bare dei defunti venivano caricate sui camion militati perché gli obitori erano ormai saturi. Benegiamo non era in un posto qualsiasi. Era ad Alzano Lombardo. La genesi dell’epidemia in Italia. Fu in quel presidio ospedaliero che il 23 febbraio 2020 si registrarono i primi due casi di persone contagiate dal coronavirus. Ma come per esorcizzare del dramma, il maggiore vuole ricordare solo gli aspetti positivi, i ricordi belli di una esperienza che ha lasciato cicatrici profonde come solchi. «Il ricordo più bello è legato all’alleanza che si è creata con il personale sanitario e i cittadini di Alzano e del bergamasco.

Quando finivamo il turno e uscivamo fuori dall’ospedale, trovavamo gli striscioni attaccati ai muri che incoraggiavano i medici e gli infermieri ad andare avanti. A non mollare. In quel momento ci siamo sentiti come un unico grande gruppo e questo senso di coesione ci ha consentito di andare avanti».

L'altro fronte

Poi il maggiore si è spostato in un’altra terra, quella balcanica. Il nemico è lo stesso. «In una prima fase abbiamo visitato i principali ospedali kosovari - continua Benegiamo - e abbiamo condiviso con i colleghi del posto i nostri protocolli, le esperienze scientifiche, abbiamo discusso delle strategie in previsione delle successive ondate pandemiche». Un’ esperienza, quella sui due fronti, che ha permesso a Benegiamo di cogliere l’universalità della crisi, che lui stesso definisce umanitaria oltre che sanitaria. «Ho trovato delle analogie sul comportamento del singolo individuo: lo spaesamento e il timore verso qualcosa che non si conosce e che si sta cercando di controllare. Fortunatamente anche in Kosovo, come sta accadendo in Italia, la gente si sta affidando alla scienza e alle istituzioni per superare questo momento. Anche qui stanno potenziando le strutture sanitarie pubbliche, si stanno sensibilizzando le persone ad aderire alle misure sanitarie preventive». Una crisi che ha comunque portato degli insegnamenti. Tra i più importanti c’è lo spirito di comunità che si sta creando in ogni luogo. Il senso di responsabilità collettiva. «Lo definisco il virus delle responsabilità individuali - afferma sempre Bengiamo - perché ognuno di noi è tenuto a fare la propria parte. I cittadini sono partner di una strategia condivisa di salute pubblica. Questo è un momento in cui si sperimentano nuove risorse, dal punto di vista della solidarietà, della voglia di migliorarsi. Dovremmo vedere la pandemia come un momento di catarsi delle nostre società, di riflessione, di grande cambiamento». Quale eredità positiva lascerà questo periodo? Per il maggiore non ci sono dubbi. «Il coraggio e la tenacia della memoria». È necessario ricordare questi momenti, i sacrifici che stiamo facendo, per guardare avanti.

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