“Questa non è una pipa”, s’intitolava un celebre quadro surrealista di René Magritte che raffigurava - invece - una pipa. «Questa comune convergenza su Mattarella non è la sconfitta della politica», ammonisce Michele Emiliano - ma ovviamente non è l’unico - davanti al cumulo di macerie ancora fumanti dei partiti deboli e delle leadership in stato confusionale. La sconfitta della politica, appunto. Non in senso stretto, come quella di Magritte non era materialmente una pipa, ma il concetto è altrettanto chiaro, nonostante le parole in queste ore di qualunque (o quasi) grande elettore e leader.
Il quadro, i dettagli
La politica italiana si è accartocciata su se stessa, risucchiata dalle contraddizioni, dalle fratture interne, e da una settimana di inutili, a tratti dilettantesche, acrobazie. E l’orizzonte è destinato ora a cambiare, tra riassestamenti e nuove geometrie. La misura di tutto è spesso nei dettagli, uno per esempio: Mattarella, prima di accettare con senso di responsabilità il bis, ha voluto incontrare soltanto Mario Draghi e i presidenti dei gruppi parlamentari di maggioranza. Non dunque i leader dei partiti, nel frattempo affaccendati nell’autodefinirsi kingmaker dell’operazione. È la rappresentazione plastica della bancarotta politica italiana.
La rielezione del capo dello Stato mette ora al riparo da terremoti il governo Draghi e perciò cristallizza quadro istituzionale e rapporti di forza. E però quest’ultima, scriteriata settimana ha in sé un paradosso: “vecchio” equilibrio sull’asse Mattarella-Draghi, ma un “nuovo” mondo. Sì, perché cambieranno gli assetti e gli scenari: implodono e si disgregano le coalizioni e i muro-contro-muro sui candidati al Quirinale ne sono stati la limpida certificazione, i partiti sono segnati da profonde crepe e le leadership escono dalla mischia parlamentare ammaccate, in qualche caso ridimensionate o quasi polverizzate. Il centrodestra finisce in frantumi e di fatto non esiste più, l’asse Pd-M5s si incrina parecchio, potrebbe affacciarsi un terzo polo centrista, Matteo Salvini è il grande sconfitto dopo errori a catena dettati dall’impulso a strafare, FdI deve ritrovare un orizzonte e al confuso Giuseppe Conte è sfuggita di mano la cloche dei cinque stelle. Soprattutto: sembra evaporare l’illusione del bipolarismo, il sistema elettorale potrebbe virare verso il proporzionale e i toni sono stati quasi sempre da campagna elettorale anticipata. È ancora la “cerimonia cannibale”, e i riflessi saranno anche in Puglia: vediamo come e perché.
La crisi del sistema politico e i riflessi in Puglia
Il Pd di Enrico Letta ha optato per quella che molti osservatori hanno definito “la strategia dell’opossum”: stare fermi, acquattati, mentre tutto intorno è il caos. Il partito era la solita polveriera, tra molte indecisioni, troppo immobilismo, correnti in guerra e spinte opposte. Alcune si placano, altre restano, il dibattito interno resterà vivo. Soprattutto sul quadro di alleanze: vale la pena continuare a inseguire il patto strutturale con il M5s, soprattutto dopo che Conte ha rotto lo schema e flirtato con Salvini? Come modulare il rapporto? O è molto più semplice svuotare progressivamente il bacino elettorale dei pentastellati? È un intreccio che interroga anche Emiliano: il governatore è il teorico delle contaminazioni politiche e del civismo extralarge che tutto include e divora, da sinistra a destra, e col nuovo movimento punta(va) al bottino grosso, cioè i voti di dem e cinque stelle, radunati sotto l’ombrello dell’amministrazione regionale. L’ultima prova muscolare è stata quella delle Provinciali leccesi. Ora dovrà inchiodare la macchina e studiare il campo, per un paio di motivi. Primo: è il momento, tatticamente, di stringere i bulloni del rapporto con Letta, il segretario che “non ha perso”. Le parole di Emiliano ieri sono la prima prova. Secondo: il governatore aveva cucito la tela con Conte, una specie di patto politico a bassa intensità, ma l’ex premier è in crollo verticale, dunque meglio lasciar perdere. Terzo: per ora meglio accucciarsi all’ombra del rafforzato governo Draghi, poi si vedrà. «Naturalmente - ha detto ieri Emiliano - il ringraziamento va dato anche al presidente Draghi per il contributo che ha dato alla chiusura di questo importante passaggio che restituisce all’Italia anche la serenità del governo.
I cinque stelle sono in preda al caos, spaccati in due tronconi: da una parte Conte, dall’altra Luigi Di Maio. Che in questa settimana ha dato scacco matto a “Giuseppi”: lo ha indebolito ulteriormente, ha lanciato il segnale di lealtà al Pd e ha scombinato i piani di Salvini, che cercava il neo-asse gialloverde con Conte. L’ex premier di Volturara Appula non ha il controllo delle truppe e non ha una linea, in Puglia i parlamentari oscillano tra fedeltà a Conte e al ministro, in base al vento e ai calcoli sul futuro. Il contiano doc è il senatore (e vicepresidente M5s) Mario Turco. E in Regione invece il patto con la maggioranza di Emiliano per ora reggerà. Il movimento però si sbiadisce sempre più, i giochi interni e l’assenza di una strategia netta e chiara finiranno per erodere altri punti percentuali, soprattutto la quota elettorale “gonfiata” nel 2018 dal voto di pancia.
Il centrodestra si è sfaldato ora dopo ora, tra venerdì e ieri. Ed ora è piombato in un burrone di divisioni insanabili e futuro incerto, scenario in Puglia amplificato da incrostazioni storiche. Forza Italia s’è staccata per prima dalla coalizione, poi sono volate le frecce avvelenate di Giorgia Meloni verso Salvini. E la radiografia dei singoli partiti non è incoraggiante. La Lega, per esempio: il leader ha inanellato scivoloni, si è chiuso nel recinto della destra sovranista, ora è con le spalle al muro e sotto tiro, soprattutto dell’ala moderata guidata da Giancarlo Giorgetti. Il ministro dello Sviluppo economico potrebbe persino dimettersi, ed è la spia d’altro: di una scissione. In Puglia i leghisti sono di rito salviniano, ma con storie, provenienze e relazioni variegate: attenzione al rischio fuga, nelle più disparate direzioni, verso FdI, centro o Emiliano. Le relazioni con gli alleati potrebbero ulteriormente compromettersi, ora. Anche sui territori e in vista di appuntamenti elettorali. Fratelli d’Italia ha giocato di rimessa e di opposizione tutta la partita, scegliendo l’isolamento. Che potrebbe pure portare nuovi dividendi nei sondaggi, ora. Ma che non scioglie i dubbi strategici: quali mosse per il 2023? Meglio restare nel recinto “duro e puro” o è il caso di cominciare a tessere una nuova tela di rapporti e orizzonti? Raffaele Fitto, presidente dei Conservatori e Riformisti in EuroParlamento, lavora con impegno per proiettare FdI in una dimensione di respiro più ampio. Intanto i rapporti di forza interni restano sempre un rebus.
Forza Italia invece sembra voglia liberarsi dell’abbraccio a destra. Magari strizzando l’occhio a un terzo polo moderato e centrista, che nei fatti si sta già coagulando - come testimoniato dalle prove tecniche di convergenza parlamentare delle scorse ore: ci sono Udc, Coraggio Italia, altri segmenti centristi, e soprattutto Italia viva e Azione. Matteo Renzi sbuca dal pacchetto di mischia con spalle più forti: al centro, in tutti i sensi, pur senza avere i numeri, ma con capacità di manovra. Ha ricucito con Letta, sabotato Salvini e Conte, imbastito il dialogo con i moderati. Verso un rassemblement che può ritagliarsi un ruolo cruciale in un sistema proporzionale, e che può sparigliare un po’ di carte anche in Puglia, regione di truppe azzurre, centriste e renziane. Dietro lo scudo di stabilità garantito da Mattarella e Draghi, il big bang è ovunque già in atto.