L'analisi/Coalizioni, partiti divisi e leadership in crisi: i contraccolpi in Puglia

L'Aula di Montecitorio, ieri, durante l'ottava votazione per eleggere il presidente della Repubblica
L'Aula di Montecitorio, ieri, durante l'ottava votazione per eleggere il presidente della Repubblica
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 30 Gennaio 2022, 03:48 - Ultimo aggiornamento: 12:44

“Questa non è una pipa”, s’intitolava un celebre quadro surrealista di René Magritte che raffigurava - invece - una pipa. «Questa comune convergenza su Mattarella non è la sconfitta della politica», ammonisce Michele Emiliano - ma ovviamente non è l’unico - davanti al cumulo di macerie ancora fumanti dei partiti deboli e delle leadership in stato confusionale. La sconfitta della politica, appunto. Non in senso stretto, come quella di Magritte non era materialmente una pipa, ma il concetto è altrettanto chiaro, nonostante le parole in queste ore di qualunque (o quasi) grande elettore e leader.

Il quadro, i dettagli


La politica italiana si è accartocciata su se stessa, risucchiata dalle contraddizioni, dalle fratture interne, e da una settimana di inutili, a tratti dilettantesche, acrobazie. E l’orizzonte è destinato ora a cambiare, tra riassestamenti e nuove geometrie. La misura di tutto è spesso nei dettagli, uno per esempio: Mattarella, prima di accettare con senso di responsabilità il bis, ha voluto incontrare soltanto Mario Draghi e i presidenti dei gruppi parlamentari di maggioranza. Non dunque i leader dei partiti, nel frattempo affaccendati nell’autodefinirsi kingmaker dell’operazione. È la rappresentazione plastica della bancarotta politica italiana.


La rielezione del capo dello Stato mette ora al riparo da terremoti il governo Draghi e perciò cristallizza quadro istituzionale e rapporti di forza. E però quest’ultima, scriteriata settimana ha in sé un paradosso: “vecchio” equilibrio sull’asse Mattarella-Draghi, ma un “nuovo” mondo. Sì, perché cambieranno gli assetti e gli scenari: implodono e si disgregano le coalizioni e i muro-contro-muro sui candidati al Quirinale ne sono stati la limpida certificazione, i partiti sono segnati da profonde crepe e le leadership escono dalla mischia parlamentare ammaccate, in qualche caso ridimensionate o quasi polverizzate. Il centrodestra finisce in frantumi e di fatto non esiste più, l’asse Pd-M5s si incrina parecchio, potrebbe affacciarsi un terzo polo centrista, Matteo Salvini è il grande sconfitto dopo errori a catena dettati dall’impulso a strafare, FdI deve ritrovare un orizzonte e al confuso Giuseppe Conte è sfuggita di mano la cloche dei cinque stelle. Soprattutto: sembra evaporare l’illusione del bipolarismo, il sistema elettorale potrebbe virare verso il proporzionale e i toni sono stati quasi sempre da campagna elettorale anticipata. È ancora la “cerimonia cannibale”, e i riflessi saranno anche in Puglia: vediamo come e perché.

La crisi del sistema politico e i riflessi in Puglia


Il Pd di Enrico Letta ha optato per quella che molti osservatori hanno definito “la strategia dell’opossum”: stare fermi, acquattati, mentre tutto intorno è il caos. Il partito era la solita polveriera, tra molte indecisioni, troppo immobilismo, correnti in guerra e spinte opposte. Alcune si placano, altre restano, il dibattito interno resterà vivo. Soprattutto sul quadro di alleanze: vale la pena continuare a inseguire il patto strutturale con il M5s, soprattutto dopo che Conte ha rotto lo schema e flirtato con Salvini? Come modulare il rapporto? O è molto più semplice svuotare progressivamente il bacino elettorale dei pentastellati? È un intreccio che interroga anche Emiliano: il governatore è il teorico delle contaminazioni politiche e del civismo extralarge che tutto include e divora, da sinistra a destra, e col nuovo movimento punta(va) al bottino grosso, cioè i voti di dem e cinque stelle, radunati sotto l’ombrello dell’amministrazione regionale. L’ultima prova muscolare è stata quella delle Provinciali leccesi. Ora dovrà inchiodare la macchina e studiare il campo, per un paio di motivi. Primo: è il momento, tatticamente, di stringere i bulloni del rapporto con Letta, il segretario che “non ha perso”. Le parole di Emiliano ieri sono la prima prova. Secondo: il governatore aveva cucito la tela con Conte, una specie di patto politico a bassa intensità, ma l’ex premier è in crollo verticale, dunque meglio lasciar perdere. Terzo: per ora meglio accucciarsi all’ombra del rafforzato governo Draghi, poi si vedrà. «Naturalmente - ha detto ieri Emiliano - il ringraziamento va dato anche al presidente Draghi per il contributo che ha dato alla chiusura di questo importante passaggio che restituisce all’Italia anche la serenità del governo.

Una bella giornata per l’Italia, faccio i miei auguri a Mattarella», «sostegno delle Regioni a Draghi». Il progetto di un movimento civico da schierare alle Politiche potrebbe finire nel cassetto, sia perché Emiliano può ritrovarsi già da domani (si legga alla voce “rimpasto di giunta”) a fare i conti con un Pd più agguerrito, e sia perché una legge proporzionale con sbarramento al 5% sarebbe un disincentivo definitivo per il listone civico. Insomma: è il momento della prudenza. E resta da capire se e come invece il Pd pugliese cambierà registro e approccio.


I cinque stelle sono in preda al caos, spaccati in due tronconi: da una parte Conte, dall’altra Luigi Di Maio. Che in questa settimana ha dato scacco matto a “Giuseppi”: lo ha indebolito ulteriormente, ha lanciato il segnale di lealtà al Pd e ha scombinato i piani di Salvini, che cercava il neo-asse gialloverde con Conte. L’ex premier di Volturara Appula non ha il controllo delle truppe e non ha una linea, in Puglia i parlamentari oscillano tra fedeltà a Conte e al ministro, in base al vento e ai calcoli sul futuro. Il contiano doc è il senatore (e vicepresidente M5s) Mario Turco. E in Regione invece il patto con la maggioranza di Emiliano per ora reggerà. Il movimento però si sbiadisce sempre più, i giochi interni e l’assenza di una strategia netta e chiara finiranno per erodere altri punti percentuali, soprattutto la quota elettorale “gonfiata” nel 2018 dal voto di pancia.


Il centrodestra si è sfaldato ora dopo ora, tra venerdì e ieri. Ed ora è piombato in un burrone di divisioni insanabili e futuro incerto, scenario in Puglia amplificato da incrostazioni storiche. Forza Italia s’è staccata per prima dalla coalizione, poi sono volate le frecce avvelenate di Giorgia Meloni verso Salvini. E la radiografia dei singoli partiti non è incoraggiante. La Lega, per esempio: il leader ha inanellato scivoloni, si è chiuso nel recinto della destra sovranista, ora è con le spalle al muro e sotto tiro, soprattutto dell’ala moderata guidata da Giancarlo Giorgetti. Il ministro dello Sviluppo economico potrebbe persino dimettersi, ed è la spia d’altro: di una scissione. In Puglia i leghisti sono di rito salviniano, ma con storie, provenienze e relazioni variegate: attenzione al rischio fuga, nelle più disparate direzioni, verso FdI, centro o Emiliano. Le relazioni con gli alleati potrebbero ulteriormente compromettersi, ora. Anche sui territori e in vista di appuntamenti elettorali. Fratelli d’Italia ha giocato di rimessa e di opposizione tutta la partita, scegliendo l’isolamento. Che potrebbe pure portare nuovi dividendi nei sondaggi, ora. Ma che non scioglie i dubbi strategici: quali mosse per il 2023? Meglio restare nel recinto “duro e puro” o è il caso di cominciare a tessere una nuova tela di rapporti e orizzonti? Raffaele Fitto, presidente dei Conservatori e Riformisti in EuroParlamento, lavora con impegno per proiettare FdI in una dimensione di respiro più ampio. Intanto i rapporti di forza interni restano sempre un rebus.


Forza Italia invece sembra voglia liberarsi dell’abbraccio a destra. Magari strizzando l’occhio a un terzo polo moderato e centrista, che nei fatti si sta già coagulando - come testimoniato dalle prove tecniche di convergenza parlamentare delle scorse ore: ci sono Udc, Coraggio Italia, altri segmenti centristi, e soprattutto Italia viva e Azione. Matteo Renzi sbuca dal pacchetto di mischia con spalle più forti: al centro, in tutti i sensi, pur senza avere i numeri, ma con capacità di manovra. Ha ricucito con Letta, sabotato Salvini e Conte, imbastito il dialogo con i moderati. Verso un rassemblement che può ritagliarsi un ruolo cruciale in un sistema proporzionale, e che può sparigliare un po’ di carte anche in Puglia, regione di truppe azzurre, centriste e renziane. Dietro lo scudo di stabilità garantito da Mattarella e Draghi, il big bang è ovunque già in atto.

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