Il saluto del direttore Scamardella: «Dodici anni intensi per un giornale con la schiena sempre dritta»

Il saluto del direttore Scamardella: «Dodici anni intensi per un giornale con la schiena sempre dritta»
di Claudio SCAMARDELLA
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Martedì 1 Febbraio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 2 Febbraio, 00:54

Il fondo di insediamento e il fondo di saluto ai lettori, a conclusione dell’incarico, sono in genere i più noiosi tra quelli scritti dai direttori di giornale. Abbondano di retorica, trasudano non di rado di ipocrisia e, soprattutto, risentono della più comune malattia che affligge i giornalisti (e, purtroppo, non solo loro): l’ipertrofia dell’ego. L’esperienza consiglierebbe di non esagerare quando si comincia e, ancora di più, quando si finisce, per scongiurare la patetica enfasi sulle cose fatte e sui cambiamenti apportati durante la propria gestione. Meglio parlare e far parlare nel mezzo. E meglio lasciare il giudizio finale ai lettori, i più titolati e, sicuramente, i più obiettivi nelle valutazioni. Con questa premessa, e promessa, spero di essere perdonato se e quando, nelle prossime righe, andrò oltre la continenza.

Oggi, dopo più di dodici anni, si chiude la mia direzione del Quotidiano. Il mio primo ringraziamento va a Francesco Gaetano Caltagirone e ad Azzurra Caltagirone, editori del giornale, che mi hanno consentito di vivere un’esperienza professionale esaltante, dandomi fiducia e garantendo piena libertà e autonomia nelle scelte. Grazie alla redazione e all’amministrazione, esemplari nella dedizione al lavoro e nell’attaccamento alla testata; ai collaboratori e ai corrispondenti, vero carburante di un giornale con forti radici territoriali; agli editorialisti che hanno messo in campo competenze, idee e spirito critico.

Difficile in queste ore non cedere ai ricordi, alle emozioni, alle tante battaglie - vinte e perse -, alla rievocazione delle giornate felici per gli “scoop” e di quelle buie per i “buchi” presi dalla concorrenza. Dodici anni intensi. Nel bene e nel male. Nelle esaltazioni e nelle delusioni. Nei successi e nei fallimenti. Ma due immagini, ripercorrendo il film di questi anni, si stagliano su tutte. La prima, di gioia. È l’immagine del sorriso solare e degli occhi di un nero profondo, con dentro tutta la voglia di vivere e di crescere, della piccola Giorgia, due anni appena nel 2010, ma già un calvario da un ospedale all’altro e un destino scritto entro pochi mesi, affetta da una malattia rarissima contro la quale era necessario un costosissimo intervento chirurgico negli Stati Uniti, solo in parte coperto dal servizio sanitario. Ricevemmo un appello disperato della famiglia e, senza perder tempo, lanciammo dalla prima pagina del giornale una mobilitazione in tutti i comuni del Salento e dell’area jonica. La risposta fu immediata e commovente, con una straordinaria partecipazione popolare. Due settimane di raccolta: in prima fila scuole, bar, locali della movida, ristoranti, edicole, cinema, palestre. In ogni città, in ogni comune, in ogni quartiere. L’intera comunità, attraverso il giornale, diventò protagonista di una battaglia per la vita.

Ero direttore da pochi mesi, in quel momento capii la forza, anzi la potenza di questo giornale sul territorio, unica nel suo genere, che di anno in anno sarà poi confermata con il successo della mostra delle prime pagine di Quotidiano disegnate dagli studenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia; con la partecipazione popolare alla marcia organizzata contro il racket; con le 50mila firme raccolte per il ritorno (poi ottenuto) del Frecciarossa fino a Lecce; con le decine e decine di migliaia di cittadini chiamati dal nostro giornale a “rimboccarsi le maniche”, ogni domenica mattina, per ripulire strade e luoghi imbrattati dagli incivili; con i centomila euro raccolti in pochi giorni tra i lettori, all’inizio della pandemia, per comprare e donare attrezzature ospedaliere utili al Vito Fazzi. Eppure, quella di Giorgia è stata una gioia speciale: oggi, dodici anni dopo, i suoi occhi e il suo sorriso sono più luminosi di allora: l’intervento è riuscito, è ancora negli Stati Uniti per il monitoraggio e le cure, ma ha tutta una vita davanti a sé. Per chi fa il nostro mestiere, non c’è nulla di più bello - altro che “scoop” o scalate professionali - che dare una mano agli altri e aiutare soprattutto chi ha bisogno.

La seconda immagine ricorda, invece, un dolore. Immenso, devastante, incontenibile. Il dolore per la perdita improvvisa di Renato Moro, il caporedattore prematuramente scomparso un anno fa, in una maledetta notte, qualche ora dopo aver chiuso insieme le pagine del giornale. Una ferita aperta. E che mai, forse, riuscirà a rimarginarsi. Il mio pensiero, in questo momento, va a lui. Mi sarebbe piaciuto che, prima di andare in stampa, questo fondo, come consuetudine, l’avesse letto Renato, che ha condiviso quasi per intero l’arco di tempo dei dodici anni di direzione, ogni giorno, di lavoro o di festa, senza orari e barriere, con la prima telefonata la mattina e l’ultima la sera. E sarebbe stato giusto condividere, innanzitutto con lui, gli straordinari traguardi raggiunti nella diffusione dal nostro giornale negli ultimi mesi con la nuova edizione di Bari e con la proiezione, a cui lui tanto ambiva, sempre più regionale del Quotidiano, testata leader indiscussa ormai non solo nelle tradizionali piazze del Salento e dell’area jonica, ma anche in altre città pugliesi. Un caso di crescita più unico che raro nel panorama editoriale nazionale.

Dodici anni nella direzione di un giornale sono tanti. Forse, anche troppi. Ho avuto la fortuna, per questioni anagrafiche, di essermi formato nella fase finale del giornalismo di tradizione, quello degli ultimi ticchettii delle linotype in affollate tipografie, e di aver vissuto la temperie dei cambiamenti epocali in corso da almeno due decenni nell’industria dell’informazione, terremotata da una rivoluzione che ha messo in crisi codici, regole, certezze e anche l’autostima accumulata da chi aveva decenni di mestiere. Al punto, come confessava l’ultimo Camilleri, di svegliarsi la mattina e fare fatica a sentirsi contemporaneo. Tuttavia, nello stravolgimento generale e nel continuo aggiornamento tecnologico, due punti sono rimasti intangibili: ciò che più conta nel giornalismo resta il giornalista, il suo modo di scrivere, il linguaggio utilizzato, il rispetto per i fatti e, soprattutto, per le persone; fino a quando ci sarà una società, i suoi componenti saranno spinti dall’insopprimibile bisogno di conoscere notizie, storie, opinioni, proposte, critiche. Ben scritte. E anche ben presentate. Può cambiare il mezzo dove trovarle, leggerle, ascoltarle. E di questo è giusto che si occupino i tecnici e i manager delle aziende editoriali. Ma quel bisogno - con il “cosa”, “come” e “perché” scrivere - può essere corrisposto solo dal giornalista.

C’è chi ha scritto, già qualche secolo fa e a ragion veduta, che il “buon giornale” è innanzitutto quello che non si limita a parlare di ciò che è accaduto il giorno prima, non si ferma all’informazione sulle cose, ma tende a spiegarne il senso e a cogliere la direzione del tempo. È stato anche detto che fare un “buon giornale” è come costruire un ponte dove far scorrere, oltre alle notizie, idee e progetti, far incontrare e dialogare competenze, raccontare e produrre emozioni e sentimenti della (e nella) comunità a cui rivolge.

Per un giornale di territorio, la cui fattura quotidiana per tanti aspetti è molto più difficile di quella dei giornali nazionali, quel “ponte” diventa ancor di più un’opera speciale, determinante, un’infrastruttura immateriale per mettere in comunicazione segmenti di società, l’alto e il basso, gli integrati e gli emarginati, con l’ambizione non solo di informare ma anche di formare un’opinione pubblica, tenendo assieme il tessuto connettivo della comunità. Un’opera speciale perché, come abbiamo constatato negli ultimi anni nella politica e nella rappresentanza sociale, disastrose sono le conseguenze di una società senza corpi intermedi e senza ponti, con la liquefazione delle forme organizzate e dei grandi soggetti collettivi che incanalano sogni e bisogni dei popoli.

Questa è stata la nostra rotta. Non tocca a noi dire se siamo riusciti a percorrerla fino in fondo. Di sicuro, non ci siamo mai arresi in questi anni allo “spirito del tempo” che ha elevato l’insulto e l’aggressività del linguaggio come forma di successo della comunicazione, esaltato l’odio e il disprezzo verso il sapere trasformando l’incompetenza in valore e l’improvvisazione al potere in una conquista, deriso la scienza, coltivato la demolizione del professionismo nella politica (proprio nei giorni scorsi, in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica, abbiamo visto di quanto ce ne sia bisogno) e dell’organizzazione della democrazia attraverso i partiti, nel nome di una fasulla “società orizzontale” occupata da chiassose, isteriche e manipolate piazze digitali (e televisive).

Processi e fenomeni che abbiamo vissuto proprio qui, in Puglia e nel Salento, prima che altrove. E in forme più violente che altrove. Innanzitutto, per il concentrato delle questioni calde al centro dell’agenda pubblica pugliese - dalla xylella al gasdotto Tap, dall’Ilva agli inceneritori e perfino alle energie rinnovabili -, sulle quali ha preso corpo un fondamentalismo ambientalista che ha prodotto più danni che benefici alla natura e al paesaggio, vagheggiando suggestioni di una “purificazione” bucolica e idealizzando una visione arcadica del territorio. Ma anche per la contemporanea incubazione, qui in Puglia, di quel “sudismo” parolaio e lamentoso che ha sopraffatto il meridionalismo di pensiero e di azione, producendo una mutazione genetica dei ruoli e delle funzioni propri di una classe dirigente, con l’affermazione dei “surfisti” della politica, più attenti alla followership che alla leadership, bravi a inseguire tutte le piazze - reali e digitali - del ribellismo, anziché svuotarle con la soluzione dei problemi, alla ricerca di facili consensi per costruire carriere e fortune personali.

Quanti insulti, intimidazioni, minacce e aggressioni sui social abbiamo ricevuto per essere andati controcorrente e per non esserci piegati a quell’unanimismo fanatico e aggressivo alimentato dalle echo chamber dove ogni dubbio e ogni pensiero diverso vengono zittiti. Ma quel “ponte” costruito giorno dopo giorno ha retto, ha sfidato il clima incandescente e intimidatorio del conformismo digitale, a testa alta e senza paura. Ha retto anche perché il giornale, questo giornale, si è tenuto a debita distanza, tutte le mattine (e anche la sera), dalle stanze del “potere” inteso come sostantivo, dalle camere di compensazione e delle interessate relazioni, con annessi salotti e salottini, coltivando invece il “potere” come verbo: il potere, cioè, di dare la voce a chi non ce l’ha; il potere di informare e formare senza sconti ai governanti e ai rappresentanti delle opposizioni, dal più piccolo comune ai capoluoghi e alla Regione. Di destra e di sinistra. Pronunciando molti “no”, talvolta anche alzando i toni per farli sentire a orecchie abituate solo al suono del “sì”. Se ci siamo riusciti il merito va, innanzitutto, all’editore che ha sempre assicurato l’autonomia e l’indipendenza della testata.

A succedermi nella direzione del Quotidiano sarà Rosario Tornesello, che con Renato è stato il più stretto collaboratore in questi anni. Sono sicuro, conoscendo la sua bravura e il suo rigore professionale, che riuscirà ad apportare le innovazioni e i cambiamenti necessari per mantenere salda e, anzi, rafforzare la leadership della testata in tutta la Puglia. Non ha bisogno di suggerimenti o di consigli. Gli auguro solo di continuare a coltivare il “potere” come verbo e di irrobustire il “ponte”. Perché questa splendida terra, attraversata da tumultuosi cambiamenti, ne ha bisogno. È un augurio e, insieme, un appello da cittadino. Perché, è vero, il Salento e la Puglia non sono la terra in cui sono nato, ma dopo dodici anni sono diventate - nell’accezione di Aristofane - la mia patria, essendo “la patria là dove si prospera. Quella che ti matura, ti fa crescere, ti regala gioie e dolori, cioè la vita. Quella che si sceglie e ti sceglie”. E per questa reciproca scelta non esiste un grazie grande abbastanza a Quotidiano.

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IL COMUNICATO DELL'EDITORE

Il dottor Claudio Scamardella lascia oggi la Direzione del “Nuovo Quotidiano di Puglia”. L’Editore, nell’esprimere sincero apprezzamento per il lavoro svolto, formula al dottor Scamardella i migliori auguri nella certezza che saprà conseguire importanti successi. La Direzione del “Nuovo Quotidiano di Puglia” verrà assunta a far data dall’edizione del 2 febbraio dal dottor Rosario Tornesello, attualmente caporedattore del “Nuovo Quotidiano di Puglia”.

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