Caso Cavallari, la Corte d'Appello assolve l'imprenditore dall'accusa di mafia

Caso Cavallari, la Corte d'Appello assolve l'imprenditore dall'accusa di mafia
di Roberta GRASSI
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Giovedì 17 Novembre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 02:56

«Nostro padre non è mai stato un mafioso». Banalizzata, la questione è questa. In concreto si tratta di una nuova richiesta di revisione (postuma) avanzata dai figli di Francesco Cavallari, detto Cicci e accolta dalla Corte d’Appello di Lecce che lo ha assolto dall’accusa di aver fatto parte di una associazione mafiosa e ha rideterminato la pena. Il “Re Mida” barese delle cliniche private, l’imprenditore al vertice di un vero e proprio impero economico nella Sanità, decise nel 1995 di patteggiare 22 mesi: i giudici hanno ridotto il conto fermandosi a un anno e quattro mesi. Dalle contestazioni iniziali scaturì una maxi confisca dei beni di famiglia per 350 miliardi delle vecchie lire che, essendo agganciata a un reato ritenuto “inesistente”, potrebbe ora essere rimessa in discussione. A battere il pugno sono stati Daniela e Alceste Cavallari. Il fine era quello di riabilitare la memoria del padre, tanto per cominciare. E poi, ottenere una decisione che certificasse che la vicenda giudiziaria che travolse le “Case di cura riunite” non era fondata su elementi di verità.

La Vicenda

La richiesta bis di revisione del patteggiamento è stata discussa ieri mattina. E, colpo di scena, è stata la Procura generale di Lecce, per voce del pg Imerio Tramis, a condividere parzialmente le tesi esposte prima in una memoria e poi in aula da Vittorio Manes, ordinario di Diritto penale all’università di Bologna e dall’avvocato Gaetano Sassanelli, per Daniela Cavallari. E dagli avvocati Valeria Volpicella e Mario Malcangi, per Alceste Cavallari. L’ipotesi mafiosa, anche secondo il pg, doveva essere esclusa. Tutto nasce dall’assoluzione piena, ormai passata in giudicato, degli ultimi due imputati che erano considerati partecipi dell’associazione di cui era stato ritenuto parte anche il “re” delle cliniche: Savino Parisi e Paolo Biallo. Non un proscioglimento per prescrizione, quello deciso dagli Ermellini. Ma molto di più. Da qui la conseguenza: non potendo esistere un’associazione per delinquere con meno di tre componenti e giudicati “innocenti” tutti gli altri imputati, l’accusa – a parere dei legali e del pg– non poteva che sbriciolarsi in un enorme nulla di fatto anche per Cavallari.

Era stato rappresentato un altro elemento: la seconda contestazione era una tentata estorsione aggravata da metodo e finalità mafiose. Non è possibile chiedere la revisione su una aggravante. Ma anche qui, le parti avevano invocato una presa di posizione “innovativa”. Manes, ha anche proposto una questione di legittimità costituzionale sul punto. «Eliminare il reato associativo di stampo mafioso – si legge infatti nelle memorie difensive – lasciando in vita la relativa aggravante, determinerebbe l’esito paradossale e del tutto irragionevole di negare l’esistenza di un fatto, per poi riaffermarla nell’ambito del medesimo provvedimento determinando un contrasto fra giudicati interno alla sentenza, ancor più grave di quello che si chiede in via principale di rimuovere». La difesa di Alceste Cavallari riteneva invece che andasse cassato l’intero pacchetto di accuse, per giungere a un annullamento totale della sentenza di patteggiamento. Sul punto c’è stato un parziale rigetto. Come è noto Francesco Cavallari morì a 84 anni, a Santo Domingo, nel gennaio del 2021. Negli anni Novanta rimase coinvolto in una maxi inchiesta su presunti intrecci fra mafia, affari e politica. Decise di uscire dalla vicenda con un accordo sulla pena che fu accolto dall’allora giudice dell’udienza preliminare. Una scelta, che è sempre bene ricordare, non è mai collegata a una ammissione di responsabilità.

Le assoluzioni

La storia del processo, per gli altri imputati, è stata lunga e travagliata. Ma caratterizzata da una sfilza di assoluzioni. Dopo le prime, fu proposta la prima richiesta di revisione che fu rigettata sempre dalla Corte d’Appello di Lecce (che ha competenza su Bari). L’ultimo atto la Cassazione lo ha scritto nel maggio del 2021, quindi all’incirca 35 anni dopo i fatti. La difesa dei due figli ha ottenuto così l’eliminazione dell’ultimo “frammento di pena illegale” esistente, come ha più volte ribadito Manes, in aula. Così è stato.

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