Bombardieri: «Basta morti sul lavoro: ora una Procura speciale»

Pierpaolo Bombardieri in redazione a Quotidiano
Pierpaolo Bombardieri in redazione a Quotidiano
di Paola ANCORA
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Venerdì 26 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17:54

Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil nazionale, mercoledì a Monopoli due operai sono morti - sepolti dalle macerie - mentre lavoravano in un cantiere edile. Nel 2022, in Puglia, sono morte di lavoro 74 persone (dati Inail). Su scala nazionale, la Uil ha denunciato un +3,7% di vittime solo nel primo trimestre 2023. Cosa manca per fermare questa ecatombe?
«Il tema della sicurezza sul lavoro deve innanzitutto diventare culturale. È necessario aumentare le ispezioni, intervenire sulla sicurezza – anche parlandone nelle scuole – e sulla precarietà. Va fatta una operazione verità: quando si violano in modo doloso le norme sulla sicurezza, non possiamo parlare di incidente sul lavoro, ma dobbiamo avere il coraggio di chiamarlo omicidio. Da questo punto di vista il Governo non ha dato risposte: gli abbiamo posto questo tema alla prima riunione, non abbiamo avuto notizie. Anzi. Ha provato a far saltare l’Istituto nazionale del lavoro, che fa le ispezioni e ogni anno ci fa sapere che ci sono l’85% di violazioni penali. Anche dal punto di vista giuridico c’è qualcosa da fare».


Che cosa?
«Noi riteniamo si debba creare una Procura speciale - sulla falsariga di quanto è stato fatto per la mafia - che si occupi di sicurezza sul lavoro. Se ogni giorno in questo Paese ci fossero tre omicidi mafiosi, cosa succederebbe? Quanto ne parlerebbero i giornali nazionali? Invece di questo tema non si parla, specie se le vittime sono - come nel caso pugliese - dei sessantenni vicini alla pensione. Proponiamo anche l’istituzione del reato di omicidio sul lavoro e una revisione della riforma Cartabia, che accelera la strada per la prescrizione nei processi per incidenti sul lavoro. Gli altri nodi da affrontare sono sicuramente la precarietà e l’alternanza scuola-lavoro. Su questo il Governo ci ha dato una risposta, sebbene tardiva, istituendo un fondo da 10 milioni per le famiglie delle vittime. Ma noi dobbiamo prevenire gli incidenti, non istituire fondi. L’alternanza va rivisitata prevedendo sempre la presenza di un tutor, formando preventivamente alla sicurezza e stabilendo un elenco di aziende che possono sfruttare questo strumento, possibilmente aziende che abbiano dentro le organizzazioni sindacali».
L’Italia ha un tasso di disoccupazione giovanile del 22,9% che sale al 30% se si considera il Mezzogiorno. Salari troppo bassi, contratti precari. Non pensa che una responsabilità, seppure secondaria, di questa diffusa precarietà sia anche dei sindacati? Troppo schiacciati sulle esigenze dei pensionati, non avete visto arrivare la crisi economica più drammatica dopo quella del ‘29. 
«Possiamo aver commesso degli errori, ma se parliamo di precarietà bisogna ricordare che non tanto tempo fa un segretario del Pd applicò un decreto intitolato Jobs Act, ché Berlinguer ancora si rigira nella tomba. Noi eravamo in piazza a fare lo sciopero generale. Raccontavano favole quando dicevano che abolendo l’articolo 18 sarebbero arrivate le fabbriche, le assunzioni. Le aziende non arrivano e non investono perché mancano le infrastrutture, non hanno garanzia sulla durata dei processi, perché la macchina burocratica è troppo complessa. Noi abbiamo fatto la nostra parte, anche in quel periodo nel quale è saltata ogni mediazione e dal Pd ai Cinque Stelle si faceva passare la logica che il sindacato non serviva più. Oggi ci sono anche difficoltà oggettive, legate alla necessità di accendere riflettori su chi non ha come riferimento il contratto: si pensi ai riders.

Così abbiamo aperto le sedi sindacali a tutte le associazioni giovanili, abbiamo istituito un appuntamento di alta formazione aperto anche ai non iscritti e una piattaforma dedicata a chiunque abbia bisogno di risposte, anche sui nuovi lavori. Si pensi agli atleti o a tutti gli impieghi legati al mondo dello sport, anche dilettantistico, che non hanno tutela sindacale. Li stiamo aiutando a creare un’associazione che svolga funzioni di sindacato per consentire ad atleti ed atlete di avere un confronto con i dirigenti e le società da una posizione più forte. Ai giovani bisogna guardare». 


Insieme a Cgil e Cisl è stato nei giorni scorsi a Berlino per il congresso della Confederazione europea dei sindacati. Ha lanciato in quella sede una proposta molto innovativa: un contratto europeo di lavoro. Ci dica perché la ritiene una riforma necessaria.
«Nel nostro Paese abbiamo un tessuto produttivo di piccole e medie imprese, ma sono le grandi multinazionali a dettare le regole perché sono in grado di differenziare e delocalizzare in base alle differenti situazioni economiche dei singoli Paesi e alle differenze retributive. Si pensi a Stellantis, ad Amazon. Allora al sindacato europeo io chiedo: è accettabile che ci siano lavoratori che fanno lo stesso lavoro e che a distanza di 400 chilometri hanno diritti, orari e salari diversi? Il sindacato deve porsi il problema e deve porre un argine allo strapotere delle multinazionali, alzando l’asticella dei diritti. Continuiamo a pensare un’Europa sociale che elevi il livello economico e sociale, altrimenti diventa una partita a perdere, soprattutto per un Paese come il nostro».
Tuttavia creare le stesse condizioni non necessariamente porterebbe a un pareggio in termini di sviluppo perché ci sono Paesi che offrono, per esempio, maggiori vantaggi. Un differenziale ci sarà sempre.
«Ma io non posso accettare che ci sia una gara al ribasso sui diritti e sui salari: sarebbe un percorso anti-storico. Non a caso noi abbiamo proposto una riduzione dell’orario di lavoro a parità di trattamento economico. Certo esiste un “gioco” dei singoli Paesi per attrarre gli investimenti delle grandi multinazionali, gioco che l’Italia perde per via del suo grande debito pubblico. E il sindacato per troppo tempo ha giocato in difesa, ora proviamo a cambiare strategia. Proviamo a dire, per esempio, che anche i soldi che vanno alle aziende vanno discussi con i sindacati: è giusto dare i soldi dei contribuenti a tutte le imprese in modo indiscriminato? Possiamo inserire una condizionalità? Possiamo dare soldi a chi delocalizza o a chi licenzia? No e la politica deve fare delle scelte».
Ex Ilva. Qual è il prossimo passo necessario secondo lei?
«Prima se ne va l’amministratore di Ilva e meglio è. Sfido chiunque – al di là delle nostre posizioni sindacali – a dirci qual è l’obiettivo dell’ex Ilva di Taranto. I soldi dello Stato a quale piano industriale fanno riferimento? Si deve accelerare sull’ingresso dello Stato come azionista maggioritario nell’asset societario e definire un piano industriale vero, che oggi non c’è. Si danno risorse pubbliche senza capire qual è l’obiettivo». 
Un giovane rider di Vicenza ha chiesto due giorni liberi per andare a spalare il fango in Romagna e il suo datore di lavoro, dopo averlo insultato, lo ha licenziato. Siamo ormai a una svalutazione dei lavoratori, non pensa?
«Abbiamo sempre ragionato sul fatto che il lavoro nobilita l’uomo. È sbagliato. Sono uomini e donne che nobilitano il lavoro insufflandoci dei principi. Per rincorrere il turbocapitalismo abbiamo sacrificato e usato come ammortizzatori aziendali, i salari e i diritti. Vi siete chiesti perché il settore del commercio e del turismo volano? Perché ci sono i contratti scaduti e 3,5 milioni di lavoratori in attesa. C’è un tentativo di deprezzare il lavoro, di svalutarlo. E va combattuto». 
Secondo l’Europa la flat tax introdotta dalla legge di bilancio e la delega fiscale che di fatto accompagnerà tutto il sistema alla tassa piatta «accrescono i rischi legati all’equità». Cosa le sembra della riforma cui lavora il Governo?
«Intanto si vìola la Costituzione, che prevede la progressività. Inoltre nessuno parla più dei nostri 100 miliardi di evasione fiscale, sembrano spariti. Di questi, 11 miliardi riguardano versamenti Inps che non fatti. Se il 90% dell’Irpef è versato da lavoratori dipendenti e pensionati, significa che sono queste persone a finanziare scuole e ospedali. Nella delega fiscale c’è pure un riferimento al condono preventivo: tu azienda concordi con me che per due anni dichiari un certo reddito e paghi proporzionalmente. Abbiamo fatto notare che se il reddito sale in quei due anni, anche le tasse dovrebbero aumentare e ci hanno risposto che “questo è il modello americano”. Ma negli Stati Uniti chi non paga le tasse viene arrestato. A questo punto abbiamo proposto di abolire il sostituto d’imposta: che ci diano tutto, il lordo e il netto in busta paga. Poi paghiamo le tasse come gli altri e aspettandoci la stessa comprensione che si riserva ad altri nel caso in cui evadessimo». 
Autonomia differenziata: un’altra, recentissima bacchettata da Bruxelles, ma il Governo tira dritto. Qual è il suo giudizio sul Ddl Calderoli?
«Come per la delega fiscale non ci sono i soldi. E poi l’Autonomia rischia di allontanare il Mezzogiorno dal resto del Paese. Un lavoratore del settore agricolo di questa provincia guadagna 6.000 euro meno l’anno rispetto allo stesso lavoratore con lo stesso contratto che vive, però, nel Nord Italia. Ci sono diritti costituzionali che vanno garantiti allo stesso modo in tutto il Paese. Non ci possiamo permettere diseguaglianze. E poi: la definizione dei Lep spetta a una commissione o al Parlamento? Dove sono i soldi per garantire i Lep? Non ci sono. Abbiamo parlato di un contratto europeo perché ormai il confronto è globale, basti pensare a cosa è accaduto alla nostra economia dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino. Possiamo rispondere a queste sfide con le Regioni? Mi sembra una follia». 
Ritiene quindi corretta una impostazione del Pnrr centralizzata, come quella immaginata dal Governo e dal ministro Fitto?
«Il Next Generation Eu ci ha dato la possibilità di valutare le diseguaglianze in Europa. Abbiamo ottenuto quelle risorse per questo, ma abbiamo commesso qualche errore. Il primo: abbiamo immaginato una messa a terra dei progetti come se avessimo una Pubblica amministrazione piena di lavoratori e tecnici, dimenticando che per anni le assunzioni sono rimaste bloccate. Secondo errore: nella fretta il Pnrr è stato rivisitato più volte dai vari Governi, invece dobbiamo metterci d’accordo sugli obiettivi. Fitto fa bene se le Regioni non sono in grado di sviluppare e mettere a terra i progetti. Una valutazione va fatta: con i soldi del Pnrr non si può fare la copertura dello stadio di Firenze. Non va perso un solo euro di quelle risorse». 
Lei è un grande appassionato di Keynes. Con l’intelligenza artificiale arriveremo alla disoccupazione tecnologica teorizzata dall’economista britannico?
«Non dobbiamo avere paura della rivoluzione che stiamo vivendo e che va gestita. Siamo andati a visitare un istituto di ricerca di Genova dedicato alla robotica. Ci hanno fatto vedere un prototipo che era una sorta di cavallo alato che sono in grado di far intervenire quando ci sono grandi catastrofi: mi hanno spiegato che per far funzionare quella macchina sarebbero servite 32 persone. Dunque non si deve avere paura. Tutti i dati Ocse ci dicono che è vero che rischiamo di perdere 16 milioni di posti di lavoro, ma ne guadagneremmo 80. Dipende dalle scelte che faremo sulla transizione ecologica, climatica e digitale. Si deve guardare al futuro». 
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