«Non sono pentita o delusa. Ora un esecutivo di legislatura»: a tu per tu con la renziana Bellanova

«Non sono pentita o delusa. Ora un esecutivo di legislatura»: a tu per tu con la renziana Bellanova
di Francesco G.GIOFFREDI
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Domenica 14 Febbraio 2021, 10:45

Teresa Bellanova, ex ministra dell'Agricoltura e senatrice di Italia viva: delusa?
«No. Ho fatto una battaglia di lealtà e coraggio. In questo Paese non è facile dimettersi o farlo senza rete. Ho lavorato con grande intensità per servire il Paese, per il ministero e per migliorare l'azione di tutto il governo, poi però mi sono resa conto che quell'esecutivo aveva esaurito la sua funzione: non era in grado di portare avanti provvedimenti su ripresa e futuro dell'Italia, c'era una sorta di ostilità verso l'impostazione riformista. Da qui le dimissioni. Volevano asfaltarci, comprare i nostri parlamentari, ma abbiamo dato all'Italia l'opportunità di avere un grande presidente come Draghi».
Entrerà nel governo da sottosegretario? Era capodelegazione...
«Non mi aspettavo nulla prima, non me lo aspetto ora. Non chiediamo postazioni, Matteo Renzi non ha avanzato alcuna proposta. E sono felice che Elena Bonetti potrà portare avanti il suo lavoro».
Ma Italia viva, rispetto al peso parlamentare, non è sotto rappresentata nel governo Draghi?
«Certo, ma non facciamo battaglie per le postazioni. Abbiamo sempre parlato di temi e di rilancio. Se avessimo voluto più spazio, lo avremmo contrattato con Conte. Ci interessano i contenuti, e a quelli Draghi darà forte impulso».
È tuttavia un governo a trazione settentrionale, almeno a giudicare dalla composizione.
«Questo deve caricare di responsabilità le classi dirigenti meridionali, anche per un lavoro puntuale in Parlamento sui temi centrali per la ripartenza del Mezzogiorno. La presenza marcata di rappresentanti del Nord non vuol dire che non si possano mettere in campo politiche per l'interesse nazionale e perciò per recuperare il divario territoriale ulteriormente allargatosi. Dobbiamo fare sistema, lavorando su progetti credibili, con risposte chiare non alle clientele, ma al Paese e ai territori».
Cosa pensa della nomina di Mara Carfagna a ministro per il Sud?
«A lei faccio i miei migliori auguri, dovrà tradurre le esigenze del Sud in azioni di governo».
Anche il Recovery plan dovrà contribuire ad accorciare il divario Nord-Sud. Ma la ripartizione delle risorse?
«Quel piano è da riscrivere: è inadeguato, non all'altezza delle sfide, e ora tutti riconoscono quanto dicevo nelle riunioni del Consiglio dei ministri. Lo dicono la Commissione europea, i commissari Gentiloni e Dombrovskis, gli uffici studi di Camera e Senato, Bankitalia. Quel Recovery è un documento senza capacità di incidere sulla ripresa, non era nemmeno previsto che quei miliardi fossero gestiti da ministeri e Pubblica amministrazione, ma da sei esperti e trecento esperti amici di chi li avrebbe nominati».
Draghi ha usato il bilancino per misurare i rapporti di forza tra partiti. Ma alla fine saranno i tecnici a gestire i ministeri centrali per il Recovery. Mossa che condivide?
«Siamo arrivati a questo per gli errori fatti. Ora il problema non è se ci saranno tecnici o politici, ma spendere e farlo bene, individuando i progetti, rendendo trasparente il tutto, impegnando le risorse. Che diversamente rischiano di non arrivare proprio».
Nessun imbarazzo a stare in maggioranza con pezzi di centrodestra?
«Ci soddisfa l'aver portato sull'Europeismo forze diverse, dai cinque stelle alla Lega. Spero siano conversioni genuine e disinteressate. Noi abbiamo risposto all'appello saggio del presidente Mattarella, per un governo che colmi il divario e costruisca politiche di speranza per gli italiani, senza pensare solo a bonus e assistenzialismo».
Che durata deve avere questo governo?
«Un governo di Legislatura. La sfida è enorme, non si affronta e risolve in pochi mesi, c'è bisogno di tempo per incardinare segnali importanti su investimenti, infrastrutture già programmate, scuola. Aggiungo un altro tema: il lavoro, da affrontare non solo con proroghe mese dopo mese della cassa integrazione, ma con politiche attive e magari avviando finalmente una strategia compiuta per l'incrocio tra domanda e offerta».
E in che direzione ritiene necessario un cambio di passo sulla gestione della pandemia?
«Innanzitutto occorre un piano vaccinale che rapidamente metta il maggior numero di persone in sicurezza, anche per far ripartire l'economia. E occorre acquistare licenze per produrre vaccini su larga scala».
Lascia il ministero dell'Agricoltura a Stefano Patuanelli, un cinque stelle. Mani buone? E su cosa ritiene che debba ora lavorare?
«Mi auguro possa fare un buon lavoro. Gli ho scritto, sono a sua disposizione per tutti i necessari passaggi. Con Patuanelli avevo già collaborato quando era al Mise. L'agricoltura è la filiera della vita, merita attenzione, dedizione, impegno e massima competenza. Lascio un ministero dove troverà competenze di altissimo profilo e una progettazione avviata, lascio una dotazione finanziaria per i contratti di filiera e due fondi che mi stanno molto a cuore, uno a sostegno delle emergenze alimentari e contro lo spreco passato da 10 a 300 milioni, con ulteriori 40 milioni nella Legge di bilancio 2021, l'altro per la ristorazione, settore che sta soffrendo tantissimo».
Bellanova, ma il centrosinistra come l'abbiamo conosciuto fin qui non esiste più? Come si scomporrà e ricomporrà il quadro politico dopo questo governo?
«Di sicuro ci sarà una ricomposizione del quadro.

Il Pd ha fatto una scelta che non condivido, cioè l'abbraccio col M5s al quale si è di fatto consegnato. Ci vuole invece un fronte riformista ampio, col coraggio di guardare ai problemi e di costruire risposte. Il mio impegno ora sarà in tal senso».

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