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Autonomia, da Svimez un altro no: «Il 30% del gettito fiscale resterà in tre regioni, saremo un Paese più debole»

Luca Bianchi Credit foto: Stefano Segati/Svimez
Luca Bianchi Credit foto: Stefano Segati/Svimez
di Giuseppe ANDRIANI
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 26 Maggio 2023, 05:00 | 4 Minuti di Lettura

Svimez e Anci ribadiscono il no all’Autonomia differenziata. E lo fanno in Commissione Affari Costituzionali del Senato. Dopo l’avvertimento della Commissione dell’Unione Europea, che aveva bocciato la riforma, parlando di «impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche italiane e sulla disparità regionali», arriva il fuoco incrociato dell’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno e dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, rappresentata dal sindaco di Bari, Antonio Decaro. Dal Sud cresce il fronte del no, che diventa però sempre più trasversale. Rocco Palese, assessore regionale alla Sanità, ieri aveva spiegato su queste colonne che in caso di approvazione del dl Calderoli il centrosinistra pugliese sarebbe pronto a raccogliere le firme per un referendum abrogativo. 
Presso l’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Luca Bianchi e Carmelo Petraglia hanno presentato per Svimez un documento evidenziando una serie di criticità. «L’autonomia differenziata delineata dal Governo espone dunque l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione delle politiche pubbliche. Si delinea in sostanza uno scenario di crescente “specialità” delle regioni a statuto ordinario con la conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese. Con riferimento specifico alle Regioni del Mezzogiorno, a questo quadro di frammentazione, si aggiungono i rischi di un “congelamento” dei divari di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali tese alla rimozione dei divari infrastrutturali e di offerta dei servizi», si legge nella relazione. 
«Appare dunque contraddittorio - prosegue Svimez - che mentre la “nuova” Europa (che solo temporaneamente ha accantonato l’austerità) ha fatto sua l’idea che le disuguaglianze vanno ridotte non solo per motivi di equità ma perché la coesione aiuta la crescita, rischiamo di perseverare diabolicamente nell’illusione che la strada da seguire sia il sovranismo regionale dei più forti». 
Bianchi e Petraglia pongono l’accento su come il gettito fiscale andrà a premiare alcune Regioni, tra cui Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia. E su come venga meno il criterio di interesse nazionale. «Circa il 30% del gettito Irpef nazionale sarebbe bloccato in tre regioni: sulla base dei testi delle preintese, fatte nel 2018 da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, abbiamo provato a quantificare il valore finanziario delle funzioni potenzialmente delegabili. Quale sarebbe la quota di compartecipazioni dei gettiti nazionali necessari per finanziare le competenze trasferite? Le funzioni delegate varrebbero circa il 90% dell’Irpef veneto, il 70% dell’Irpef lombardo, il 78% di quello dell’Emilia Romagna».

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Anche l'Anci dice no

Un assist nella stessa direzione arriva anche dall’Anci (e dai sindacati, con eccezione della Cisl, che specifica di non avere una chiusura preventiva alla riforma), per bocca del sindaco di Bari, Antonio Decaro. Secondo quanto spiegato dal presidente dell’Anci, «in ordine ai profili procedurali, permane un ridotto coinvolgimento degli enti locali nelle varie fasi di attuazione del processo regolato dal testo» oltre al fatto che «l’attuazione del regionalismo differenziato sembra prevalentemente tradursi e privilegiare il conferimento di competenze amministrative e gestionali, piuttosto che le funzioni legislative e programmatorie». Secondo i comuni italiani, poi, c’è il rischio «di istituzione di nuovi organismi, agenzie ed enti aventi funzioni gestionali, con ricadute in termini di complessità e complicazioni amministrative per i cittadini e le imprese, oneri a carico della finanza pubblica con un’accentuazione del ruolo di amministrazione attiva regionale». L’ultimo punto, invece, è quello che riguarda il «rischio di una frammentazione, disomogeneità e non uniformità nell’attuazione delle prescrizioni costituzionali in materia di livelli essenziali e di perequazione fra i livelli di governo, che dovrebbero trovare una complessiva attuazione, così da determinare tempi, modalità e fabbisogni finanziari aggiunti di generale applicazione con riferimento a tutti i livelli di governo».
Tra l’Anci e Svimez arriva un no secco all’Autonomia. Non è una novità, però emergono alcuni profili di presunta incostituzionalità del Disegno di Legge Calderoli. E il fronte del no prosegue la propria battaglia.

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