La battaglia sulla bozza di legge quadro per l’autonomia differenziata è, innanzitutto, una battaglia di principi e di numeri. Di principi perché le forze politiche duellano sul futuro assetto da dare a uno Stato che accarezza, da tempo, il federalismo senza mai essere riuscito ad abbracciarne compiutamente la forma. Di numeri perché per consentire a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna di avocare a sé, come hanno chiesto e come prevede l’articolo 116 della Costituzione e un accordo siglato nel 2018 dalle tre Regioni con l’allora governo Gentiloni, un ampio ventaglio di competenze trattenendo le tasse dei cittadini residenti, sarebbe prima necessario individuare i Lep, ovvero i Livelli essenziali delle prestazioni, e dire con chiarezza come saranno finanziati. Questo pretendono i parlamentari del Mezzogiorno, i governatori del Sud e le forze sociali, preoccupati che il via libera al Ddl – che pure la ministra per gli Affari regionali Maria Stella Gelmini si è detta pronta a discutere e modificare – si traduca in una “secessione dei ricchi” ai danni della parte più povera del Paese.
Cosa sono i Lep?
Ma cosa sono i Lep? Si tratta di quei servizi e quelle prestazioni che lo Stato deve garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, in quanto consentono il pieno rispetto dei diritti sociali e civili dei cittadini. Dunque, la scuola, la sanità, i trasporti – tanto per citarne alcuni – sono settori nei quali allo Stato la Costituzione impone non solo di garantire uguali accesso e qualità dei servizi per tutti i cittadini, da Aosta a Lecce, ma anche di rimuovere ogni ostacolo che possa provocare disuguaglianze, intervenendo dunque – là dove necessario – a supplire alle minori capacità dei territori più poveri, istituendo anche un fondo perequativo per quelli con minore capacità fiscale.
Questo principio – scrive sulla sua pagina web il ministero per il Sud e la Coesione territoriale – «è rimasto finora sostanzialmente inapplicato, a favore del metodo di calcolo della “spesa storica”, cioè l’attribuzione delle risorse sulla base di quanto già speso dallo stesso ente, in passato, per lo stesso servizio: così chi già garantiva determinati servizi ha ricevuto di più e chi non li ha mai erogati non riceveva niente. In questo modo, i divari territoriali, anziché ridursi, si sono allargati sempre di più, tradendo l’intento contenuto nella Costituzione e impedendo a milioni di italiani di esercitare appieno i propri diritti di cittadinanza».
Fin qui la cornice dei principi.
Il nodo
Il nodo da sciogliere, dunque, prima di qualsiasi discussione sull’autonomia differenziata è proprio questo: definire i Livelli essenziali delle prestazioni, come previsto dalla prima bozza di autonomia differenziata predisposta dall’allora ministro Francesco Boccia e poi “congelata” con l’arrivo della pandemia. I Lep sono stati quindi inseriti nella Legge di Bilancio 2022 e che in quest’ultima norma, in particolare, fanno riferimento alla disponibilità dei posti negli asili nido, al trasporto scolastico di studenti disabili e agli assistenti sociali. E tutto il resto? Ancora nebbia fitta. Perché sebbene la voce “scuola”, in tema di trasferimenti statali, sia fra le più consistenti, il mosaico complessivo delle risorse disponibili, del livello di servizi attualmente esistenti e di quello da raggiungere perché non ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B, è tutto ancora da chiarire.