Esuberi da Mittal, il ministro non ci sta: «I patti erano diversi»

Esuberi da Mittal, il ministro non ci sta: «I patti erano diversi»
di Alessio PIGNATELLI
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Domenica 7 Giugno 2020, 10:24 - Ultimo aggiornamento: 15:58
«Il piano che Mittal ha presentato non riflette le volontà del governo per Taranto e non rispecchia l'accordo del 4 marzo. Da settembre ha detto prima che c'era un problema per l'acciaio, poi ha usato la scusa dello scudo penale e adesso addirittura dice che il Covid avrà effetti per ben tre anni. Bisogna ripartire dall'accordo del 4 marzo». È stata immediata la risposta del ministro allo sviluppo economico Stefano Patuanelli che già ieri ha convocato le organizzazioni sindacali per martedì alle 10 in videoconferenza. Parole che bocciano in modo inequivocabile la proposta arrivata dalla multinazionale.

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«Coniugare lavoro e ambiente è il programma di questo governo - ha detto il ministro dello Sviluppo economico -, riteniamo che sia compatibile e pensabile un impianto nuovo che diventi il fiore all'occhiello in Europa: noi ci crediamo, vogliamo capire anche se la controparte ci crede. Stiamo pensando a come accompagnare la filiera dell'acciaio, il governo sta lavorando a un piano nazionale». Un inevitabile giudizio negativo palesato in serata dopo che i primi segnali erano già arrivati in mattinata: i tecnici dei ministeri competenti (Mise, Mef e Lavoro) e la task force coordinata dal consulente nominato dal governo Francesco Caio avevano bocciato l'aggiornamento del piano. Il progetto, arrivato dopo i dieci giorni in più concessi dal governo, non ricalca assolutamente le linee guida di marzo. Di quando, cioè, commissari straordinari di Ilva in As e ArcelorMittal avevano firmato un'intesa che aveva scongiurato il contenzioso legale. Adesso, con un colpo di spugna appesantito dalla crisi pandemica e dalle difficoltà in generale del mercato, i franco-indiani hanno abbassato l'asticella.

Il piano di ArcelorMittal: 3300 esuberi e stop all'altoforno 5

Oltre 3mila esuberi su una platea generale di Am Italia che passerebbe dai 10.700 ai 7.500 addetti, nessun riassorbimento per i 1.800 in cassa integrazione nell'alveo di Ilva in As e lo stop al revamping di Afo5 che da solo avrebbe garantito gran parte della produzione che scenderebbe a 6 milioni di tonnellate di acciaio fino al 2023. A marzo, invece, seppure in un patto che non aveva coinvolto i sindacati, i termini erano altri: si immaginava una produzione di 8 milioni di tonnellate di acciaio, il mantenimento dell'attuale forza lavoro e una serie di investimenti per una fabbrica più green. I piani sono cambiati, lo tsunami Covid-19 secondo ArcelorMittal è stato devastante. E allora, nella proposta di venerdì, ci sarebbero anche richieste per un sostegno economico così modulato: 200 milioni a fondo perduto a titolo di indennizzo Covid, un prestito di 600 milioni con garanzia Sace e un'ulteriore parte delle risorse rimaste all'Amministrazione straordinaria rivenienti dalla transazione dei Riva, ex proprietari della fabbrica. In attesa di avere ufficialità, c'è da ricordare che già recentemente l'azienda avrebbe cercato di far inserire nel decreto Rilancio il via libera a un prestito da circa 400 milioni ricevendo picche.

L'intervento di ieri del ministro Patuanelli ribadisce l'anima meno conciliante del dossier. Ben diverso l'approccio che ha avuto il ministro Gualtieri sul dossier in questi mesi. Dal Mef, si è sempre cercato un dialogo e anche durante la videocall del 25 maggio le sensazioni furono confermate: «Lo Stato è disponibile a coinvestire insieme a Mittal, a intervenire direttamente per avere un'Ilva forte che produca tanto, che sia leader del mercato e abbia i livelli occupazionali che sono quelli che conoscete» le testuali parole di Gualtieri in videocollegamento.

L'acciaio intanto è uscito dalla protezione del Golden Power: la siderurgia era stata inizialmente aggiunta all'elenco dei settori strategici difesi dallo Stato con un emendamento al decreto imprese ma poi c'è stato un dietrofront. Barbara Saltamartini, presidente della commissione Attività produttive della Camera, ha rivelato che nel testo «viene stravolto l'emendamento approvato che prevedeva come strategici i livelli produttivi e occupazionali del settore siderurgico e di quello agroalimentare. Una manina ha ritenuto invece di trattare l'agroalimentare e il siderurgico in maniera diversa eliminando di fatto la strategicità della produzione e dei livelli occupazionali nel settore dell'acciaio in Italia e invece conservandola per il settore dell'agroalimentare». Non un provvedimento ostativo all'ingresso statale, certo ma un segnale. La situazione è incandescente. Venerdì scorso il presidio degli operai dell'acciaieria 1 e del laminatoio a freddo davanti ad una portineria dello stabilimento di Taranto ha mostrato le ferite della fabbrica. Le tute blu si riuniranno già domani, alle ore 9.30, quando è convocato un consiglio di fabbrica straordinario di Fiom, Fim e Uilm per decidere le mobilitazioni da intraprendere per rispedire al mittente il piano di esuberi di ArcelorMittal e chiedere al governo il rilancio ambientale, occupazionale e produttivo del sito di Taranto. Prendere e perdere altro tempo diventa sempre più rischioso.
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