L'allergia alle regole che mina società e politica

L'allergia alle regole che mina società e politica
di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 24 Gennaio 2021, 08:20 - Ultimo aggiornamento: 2 Febbraio, 09:12

In questi giorni, anche con molte buone ragioni, sale dal profondo del Paese un moto di sconcerto e indignazione di fronte allo spettacolo offerto dalla politica con la crisi della vecchia maggioranza di governo e con i tentativi, tutt'altro che cristallini, di formarne una nuova. Basta aprire i social e capire l'aria che tira. Fatta la tara su antipatie e simpatie verso i protagonisti dei duelli e dei trielli romani, e depurata la vicenda da ogni ipocrita e faziosa valutazione sui comportamenti di quanti saltano da uno schieramento all'altro dopo mercanteggiamenti e promesse (sono ritenuti costruttori, volenterosi e responsabili se funzionali alla propria fazione; venduti, corrotti e traditori se utili alla fazione avversaria), il sentimento predominante è di disgusto e il rischio è di un ulteriore allargamento del solco tra governanti e governati, tra eletti ed elettori. O, come si sarebbe detto un tempo, tra masse e potere.

A riemergere, ancora una volta, è però la falsa e comoda contrapposizione tra una sporca e cattiva società politica e una sana e onesta società civile, quel racconto fuorviante che separa in modo netto i frequentatori dei palazzi del potere, bollati a prescindere come predatori del bene pubblico, e i cittadini che sono invece virtuosi, rispettano le regole e le leggi, perseguono il bene comune. Una contrapposizione falsa e un racconto fuorviante non solo perché i primi sono espressione diretta dei secondi, ma perché la corruzione, la disonestà, la slealtà nei comportamenti, la furbizia abbondano anche al di fuori di quei palazzi. E sono spesso elevati addirittura a valori e capacità, invece di essere giudicati disvalori.

Proprio in queste ore, basta andare oltre le cronache politiche per avere un'ulteriore conferma che la presunta e cosiddetta società civile non ha né titoli né meriti per sedersi nei banchi di chi accusa, o addirittura di chi processa ed emette sentenze. Come dimostra, per esempio, la storia incresciosa dei vaccini somministrati abusivamente agli amici degli amici, a chi è fuori lista, a chi non ne ha ancora diritto: dosi evidentemente sottratte a quanti - per età, professione e condizioni di salute a rischio - ne avrebbero più bisogno. La cosiddetta società civile è anche questa, anzi soprattutto questa nell'era in cui sono cadute e diventate liquide tutte le forme di organizzazione comunitaria. E c'è da scommettere che tra i tanti furbetti del vaccino, in via di accertamento in molte città d'Italia e della Puglia, comprese Lecce e Brindisi, ci sono anche i più facinorosi mazzieri da tastiera contro i comportamenti della politica e dei politici, i più intransigenti e disgustati delle vicende del governo e del Parlamento, i più duri e puri. A parole e sulla carta, ovviamente. Perché, poi, nei comportamenti individuali fanno prevalere il soddisfacimento dell'interesse privato, corporativo, le pulsioni egoistiche e familiari attraverso la pratica dei favori, degli scambi e delle raccomandazioni, tradendo i doveri di cittadinanza e rubando i diritti degli altri.

Che cos'è questa se non la conferma di una visione inquinata e corrotta di ciò che è pubblico? Siamo proprio sicuri che comportamenti del genere siano meno gravi del mercimonio di poltrone a Roma che tanto ci indigna? O non è forse, senza scomodare a sproposito la categoria del moralismo, identica la radice?

Faremmo bene, perciò, a liberarci quanto prima del comodo e semplicistico schema bipolare dove si contrappongono, in modo distinto e separato, il bene e il male, l'onestà e la disonestà, i puri e gli impuri. Faremmo bene a uscire presto dall'ipocrisia di scaricare le responsabilità solo sulla cattiva società politica, assecondando la comoda autoassoluzione della presunta società civile a dispetto della presunta minorità - prima di tutto, intellettuale e morale - della società politica perché l'una e l'altra, nelle grandi come nelle piccole cose, sono facce della stessa medaglia, convivono e si intrecciano pur nella loro separatezza, non sono antagoniste ma spesso complici. E non solo al momento del voto. Faremmo bene a liberarci, quanto prima, anche del comodo luogo comune secondo cui in Italia il virus dell'illegalità, della trasgressione delle regole, della slealtà riguardi solo mondi e ambienti lontani dai nostri, come se il marcio non toccasse da vicino e tutti i giorni anche ognuno di noi, nella nostra vita quotidiana, come se anche noi non fossimo costretti a calarci e ad alternarci nei ruoli di vittime e carnefici, di corrotti e corruttori nell'approccio quotidiano alla soluzione dei nostri problemi.

Quante volte coltiviamo le relazioni che contano per ottenere risultati spesso in contrasto proprio con il diritto e la giustizia, e con il principio della legge uguale per tutti? Quante volte, ogni giorno, siamo testimoni di esempi di malcostume, di reti di protezione, di imbrogli e malaffare, di regole trasgredite da benpensanti e cultori (a parole) dell'onestà? E quante volte, di fronte a comportamenti scorretti, ci sentiamo dire così fan tutti, gli scandali sono altri, il cattivo esempio viene dall'alto? Noi, tutti noi e ognuno di noi, non siamo del tutto estranei. Si comincia dai banchi di scuola - spesso con la spinta degli stessi genitori - a diventare cittadini sleali, a inseguire le scorciatoie, a truccare le sfide e gli esami, a violare le regole per raggiungere un traguardo, alla diseducazione dei doveri e all'appropriazione degli altrui diritti. Si comincia lì a diventare allergici alle regole, a esaltare la furbizia, a propendere per il raggiro degli insegnanti e degli stessi compagni di classe, perfino a ostentare fierezza e orgoglio se si riesce ad aggirare con astuzia gli ostacoli. A elevare, insomma, l'imbroglio come virtù.

La gravissima vicenda dei vaccini, maturata in un'istituzione pubblica ma con protagonisti comuni cittadini, dimostra che la liquida società civile è sempre più parte preponderante del problema, non della soluzione. Continuare a indicare il dito solo verso la politica vuol dire non voler risolvere il problema.

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