Ci sono le parole, poche, centellinate e perciò rumorose. «Carta copiativa di quelle della premier», ha spiegato nei giorni scorsi quasi defilandosi nelle retrovie, cioè nel luogo della riflessione e delle strategie, l’unico dove l’assenza può diventare presenza, e dove ruolo e funzioni si proiettano in un’altra dimensione. Perché poi ci sono pure i dossier, numerosi, cruciali, impilati sulla scrivania a Palazzo Chigi di Alfredo Mantovano. Le «cause difficili», taglia corto chi si muove con disinvoltura tra i corridoi romani. Lo spinosissimo fronte migranti, tanto per cominciare: tema scottante e la necessità di raddrizzare il tiro dopo qualche uscita ministeriale ad alzo zero e fuori canone. Il magistrato salentino col cuore a destra, che Giorgia Meloni ha ripescato a sorpresa dalla toga e dall’album di famiglia dei governi berlusconiani, è il sottosegretario con licenza di meditare, suggerire e pianificare, l’uomo che sussurra imbeccate e indirizzi alla premier. In queste convulse giornate soprattutto: da Palazzo Chigi, dove ha funzioni di segretario del Consiglio dei ministri ed è Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, ha maneggiato le fasi post tragedia di Cutro, soprattutto dopo le contestate parole di Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno vicino a Matteo Salvini finito sulla pubblica graticola. E probabilmente anche sotto il faro di Palazzo Chigi: «Piantedosi? Lo hanno commissariato, o comunque depotenziato», è l’indiscrezione che trapela qui e lì. Il “commissariamento soft” avrebbe trasferito più competenze proprio a Mantovano, ricostruzione che gli ambienti vicini al sottosegretario salentino s’affrettano a ridimensionare o persino a smentire, «ma d’altro canto lui è centrale a Palazzo Chigi perché è ciò che prevede il suo ruolo di sottosegretario alla Presidenza, né più e né meno. Proprio come per i suoi predecessori».
La linea di Mantovano sui migranti
E però, mentre nei giorni scorsi infuriava la tempesta sul governo e Meloni dall’estero distillava dichiarazioni col contagocce, proprio Mantovano ha tenuto il timone in pugno, anche con qualche cauta uscita “colloquiale”.
Il segnale a Cutro
Anche ieri, e la politica si nutre proprio di segnali, Mantovano era schierato in conferenza stampa a Cutro, dopo il Consiglio dei ministri, con la premier e con Matteo Salvini, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Antonio Tajani e Francesco Lollobrigida. Posto a sedere laterale, e presidio silenzioso: non una parola, molto lavoro dietro le quinte. Meloni sciorina le nuove misure, compito (difficile) del sottosegretario è stato anche quello di armonizzarle, conciliando più spinte e valutazioni. Tante sul piatto, dagli ambienti pugliesi più vicini a Mantovano filtrano con riserbo: «Le migrazioni sono un fenomeno planetario», la crisi in Tunisia è un detonatore, ci sono «intere regioni africane» prostrate dalla carestia di grano ucraino e «il contesto è mutevole», ma il governo si muove sulla base «della legittimazione popolare e del dato di realtà». La fermezza e la cornice mondiale, la regolamentazione degli ingressi e il dovere del soccorso in mare e dell’accoglienza.
Ovviamente, il peso specifico di Mantovano non si misura solo sulla bilancia dell’emergenza migranti. Meloni si fida e affida tanto al sottosegretario, che ha del resto nella cassetta degli attrezzi tutto l’occorrente, in molti casi merce rara in questo governo: l’esperienza e la buona rete, l’ancoraggio a precisi valori e la proiezione europea, l’approccio dialogante e il rigore. Consigliere e prezioso ponte tecnico e politico. Sempre più a tutto tondo: il repentino cambio della guardia ai vertici dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale - avamposto oggi come non mai vitale - è affare di Mantovano. Dietro le quinte, ma dentro «le cause difficili».
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