Covid, Ricciardi: «Il lockdown a ottobre 2020 avrebbe evitato 70mila morti»

Covid, Ricciardi: «Il lockdown a ottobre 2020 avrebbe evitato 70mila morti»
di Ettore Mautone
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Giovedì 31 Marzo 2022, 23:50 - Ultimo aggiornamento: 2 Aprile, 08:03

Walter Ricciardi, igienista, consigliere del Ministro della Salute Roberto Speranza per l’emergenza Covid: da oggi l’Italia è fuori dallo stato di emergenza, siamo fuori anche dalla pandemia? 
«Termina l’emergenza sul piano giuridico e si torna all’ordinaria amministrazione ma non è finito l’allarme sanitario. Bisogna mantenere le misure che abbiamo attuato finora, la vaccinazione in primis, il green pass, le mascherine, le distanze di sicurezza, la prudenza nei viaggi. Per sconfiggere definitivamente il virus dobbiamo vaccinare il mondo. Ci sono milioni di persone non vaccinate che consentono la massima circolazione del virus». 

Cosa ha dato tanta forza al Covid? 
«Il mondo iperconnesso e globalizzato.

Il rischio è intrinseco alla struttura della nostra società. Ciò rendeva certa la possibilità che prima o poi si presentasse una pandemia». 

Qual è stato il momento più critico che avete vissuto in questi due anni? 
«Tra fine febbraio e inizio marzo del 2020 da parte mia e del ministro c’era la necessità di far capire a tutti la gravità e la pericolosità della situazione. Per fortuna l’Italia ha avuto un ministro che ha immediatamente capito il rischio che stavamo correndo e che ha agito di conseguenza. Il binomio tra scienza e politica qui in Italia ha funzionato bene sin dall’inizio». 

La difficoltà maggiore? 
«Convincere chi invitava ad andare avanti come se nulla fosse, far capire a sindaci e presidenti di Regione che le zone rosse non si potevano evitare e che anzi bisognava cercare di anticipare le mosse del virus anziché inseguirlo. Dicevamo a tutti che ci trovavamo di fronte a un virus pericoloso. Avevamo negli occhi le scene drammatiche viste in Cina poi arrivate anche qui. È stato difficile convincere tutti gli scettici che le misure restrittive erano assolutamente necessarie così come chiudere completamente in pochi giorni un paese di 60 milioni di abitanti». 

Come si vivevano quei momenti all’interno del Comitato tecnico scientifico? 
«I primi mesi sono stati intensissimi per riunioni, confronti, accordi per suggerire una linea sul piano delle decisioni politiche. Lavoravamo a stretto contatto con la protezione Civile. Si trattava di prendere decisioni drammatiche come il lokdown». 

C’erano pressioni? 
«Su media e social media si leggeva di tutto e il contrario di tutto. Ma la cosa fondamentale è aver mantenuto una linea di assoluto rigore. Le decisioni venivano prese tutte sulla base delle evidenze scientifiche. Usa e Gran Bretagna ma anche inizialmente la Francia, si sono regolate diversamente salvo poi correggere il tiro». 

Il momento più bello? 
«L’arrivo dei vaccini. Il V-Day del 27 dicembre del 2020. Avere a disposizione in pochi mesi vaccini efficaci non era un risultato scontato». 

Un rammarico? 
«Quello più grande è non essere riuscito a far fare il lockdown a Milano e a Napoli durante la seconda ondata per la strenua contrarietà dei sindaci (Sala e de Magistris) che scrissero al ministro. In realtà avremmo evitato la seconda ondata, bloccato la trasmissione dei contagi e limitato la terza ondata che hanno coinvolto tutte le Regioni italiane provocando 70mila morti. Venni attaccato da tutti mentre ci avevo visto giusto». 

I vaccini hanno cambiato la storia della pandemia? 
«È stato evidente sin dai primi mesi successivi alle inoculazioni. Senza avremmo pagato un tributo enorme». 

Qual è stata la differenza tra la prima Sars del 2004 e la Mers del 2013 con il Covid attuale? 
«Quelle infezioni avevano una più elevata mortalità ma si trasmettevano solo tra sintomatici e dunque furono facilmente arginate». 

Ha avuto mai paura di ammalarsi? 
«Ho sempre fatto tutto il possibile per non contagiarmi. Non mi è pesato fare i vaccini, indossare la mascherina. La contagiosità di questo virus dà sempre un po’ di timore». 

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