Coronavirus, il mistero dei recidivi: l'infezione bis può portare alla morte

Coronavirus, il mistero dei recidivi: l'infezione bis può portare alla morte
di Lucilla Vazza
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Sabato 30 Maggio 2020, 08:31

Il coronavirus, come il postino, bussa sempre due volte? Per fortuna no, o almeno per ora, non è dimostrato. Eppure qualche volta si sono manifestati casi di (apparente) reinfezione a carico di pazienti giudicati guariti, perché negativi ai due tamponi di prassi, ma poi di nuovo risultati positivi al Covid-19. L'ultimo in ordine di tempo è il caso della signora 76enne di Pago Veiano, nel Sannio, morta due giorni fa all'ospedale Rummo di Benevento, perchétornata positiva al coronavirus, dopo che invece, pochi giorni prima, era stata dichiarata guarita e negativa, ai due tamponi di prassi. Un caso certamente eccezionale, ma non unico, visto che il 19 aprile scorso abbiamo documentato un altro caso molto simile in Campania, a Mugnano, dove una 55enne non è sopravvissuta alla ripresa dell'infezione dopo un tampone negativo. Situazioni pressoché analoghe, ma sottolineiamo rarissime, sono state rilevate anche all'estero come in Corea del Sud, Cina e Giappone. «Innanzitutto bisogna dire che per quanto straordinariamente affidabili, i tamponi come tutti i test non hanno un'affidabilità del 100%, quindi potrebbero esserci casi di falsi negativi - sottolinea il professor Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive della Cattolica Campus di Roma - In questi casi di apparente contagio-bis, parlando in generale e senza conoscere i dati clinici dei pazienti, più che di reinfezioni, finora non ancora dimostrate negli studi internazionali, potrebbe trattarsi di una replicazione del virus a livello polmonare che era rallentata, ma non conclusa, e che poi per le condizioni individuali della paziente si è riavviata. Il vero messaggio di queste situazioni è quanto sia subdolo questo virus e quanto questa malattia sempre essere considerata con grandissima attenzione, perché non ne sappiamo ancora abbastanza», conclude l'infettivologo.
 

 

Ora sappiamo dai risultati pubblicati il 29 aprile scorso, dalla prestigiosa rivista scientifica Nature Medicine, che chi si ammala sviluppa una risposta immunitaria al virus entro 19 giorni dall'insorgenza dei sintomi e sviluppa un'immunità che rimane nell'organismo e che dunque non lo fa più ammalare. «Questa malattia resta per molti versi misteriosa, anche se la conosciamo sempre meglio. Sappiamo che ci sono persone guarite o asintomatiche positive al Covid anche oltre 70 giorni, così come, eccezionalmente, ci sono pazienti che dopo essere stati negativi al test, hanno una ripositivizzazione del tampone faringeo, perché probabilmente la carica virale era diventata insufficiente per essere rilevata e poi invece il virus ha ripreso vigore», conferma il direttore scientifico della Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali, Massimo Andreoni. Ma perché in qualche paziente il virus va in letargo per poi riprendere vigore? «Non c'è un'unica ragione, forse perché le difese immunitarie sono un po' scadute e il virus che rimane nell'organismo poi ce la fa a riprendere a replicarsi o ci sono fattori scatenanti come altre infezioni o altre condizioni patologiche che riattivano il virus. Se la replicazione e quindi l'infezione si riattiva può essere molto pesante per il paziente che è ancora convalescente e debole dalla prima manifestazione della malattia», spiega Andreoni. Insomma, un risultato negativo non dice in modo definitivo che quella persona non sia in assoluto più portatrice del virus, ma che è scarsa la quantità di materiale genetico rilevabile dal tampone. «Ma vietato fare allarmismi: quando diciamo che una persona è negativa - avverte - noi sappiamo che una quantità molto bassa del virus è ancora presente, ma a un livello talmente blando che non si rileva e, chiariamolo, nemmeno può contagiare perché troppo debole.
I casi di ripresa della malattia, dopo un tampone negativo, sono eccezionalmente rari». 

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