Scioperi, Delrio: «Serve una stretta, ma decide il Parlamento»

Scioperi, Delrio: «Serve una stretta, ma decide il Parlamento»
di Umberto Mancini
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Sabato 17 Giugno 2017, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 10:05

 «Una svolta vera per cambiare le regole, una stretta». Ma spetta al Parlamento mettere mano alle norme sul diritto di sciopero non certo al governo. La linea del ministro dei Trasporti Graziano Delrio, e dunque anche quella dell’esecutivo Gentiloni, non cambia. Nemmeno il venerdì nero che ha mandato in tilt il Paese è servito a dare una scossa. Eppure i disagi, tanto per usare un eufemismo, hanno colpito duro, soprattutto nella Capitale. Il trasporto pubblico - treni, bus, metro e aerei - resta un territorio off limits. Una giungla intoccabile di sigle sindacali a volte piccole o piccolissime che fanno il bello e cattivo tempo. «Noi - dice Delrio - siamo prontissimi a studiare il dossier e ad affiancarci al lavoro del Parlamento a cui spetta prendere l’iniziativa». Insomma, la volontà c’è, anche se il tema non sembra proprio tra le priorità di questo governo. Sulla stessa linea ci sono i partiti, preoccupati e attenti a non perdere consensi in una fase così turbolenta. 

LE IDEE
Per la verità Delrio aveva provato in passato, era il 2015, a smuovere le acque durante l’Expo di Milano. «Non si possono lasciare a piedi centinaia di migliaia di persone - aveva detto proprio al Messaggero dopo una delle tante agitazioni sindacali selvagge - perché è grave che una minoranza poco numerosa condizioni la vita di intere collettività. Dobbiamo darci nuove regole, intervenendo sulla legge in materia di diritto di sciopero e sugli accordi di settore». 
Buone intenzioni restate nel cassetto. Perché Palazzo Chigi, anche in virtù di un clima elettorale perenne, si è guardato bene dal toccare un diritto sancito dalla Costituzione. Si preferisce aspettare e subire in silenzio: dalle agitazioni senza preavviso agli scavi di Pompei, parliamo di due anni fa, al blocco dei voli Alitalia, episodi che si ripetono all’infinito anche se la compagnia è di fatto fallita, fino alle agitazioni di ieri di alcuni sindacati di base che hanno fatto impazzire tutte le città italiane. Il problema dei servizi pubblici essenziali e di trasporto, al di là di qualche precettazione o moratoria estemporanee, resta quindi irrisolto. La politica, anche se annuncia riforme, poi non ha il fegato di finire il lavoro. Sul tavolo le proposte per mettere fine al calvario dei semplici cittadini, intrappolati nel traffico o in attesa di un treno che non arriverà mai, ci sono.

LE PROPOSTE
La più importante delle quali prevedeva di introdurre un referendum preventivo tra i lavoratori per indire lo sciopero nel trasporto pubblico. Solo dopo aver superato un tetto minimo di favorevoli del 50,1% l’agitazione avrebbe potuto essere proclamata. Un modo per sbaragliare il potere delle sigle più piccole e responsabilizzare i sindacati. 
Attualmente i paletti sullo sciopero nei servizi pubblici sono quelli stabiliti dalle legge 146 del 1990 che, insieme agli accordi tra sindacati e imprese del settore, fissano dei limiti sulle fasce di garanzia da offrire al pubblico, sui tempi di preavviso e sulle procedure di conciliazione delle vertenze. Basta informare nei tempi previsti ministero e autorità di controllo e poi può scatenarsi l’inferno. 
I PRIVATI
Eppure l’industria privata, cioè Confindustria, insieme a Cgil, Cisl e Uil, hanno firmato oltre 3 anni fa un protocollo quadro che fissa con precisione le soglie sopra le quali i sindacati si siedono ai tavoli contrattuali, firmano accordi che a quel punto sono validi erga omnes e, ovviamente, dichiarano se incrociare le braccia oppure no. «Un accordo - sostiene il ministro - che secondo me è un’ottima base di partenza». Peccato che tutto sia ancora restato lettera morta. I timori, tra i partiti e nel governo, sono quelli di andare a toccare il delicatissimo tema della rappresentanza e quindi dei poteri delle organizzazioni sindacali. 
Ma al di là delle questioni ideologiche, Delrio vorrebbe che l’Italia seguisse con pragmatismo il modello europeo. Ovvero il voto preventivo dei lavoratori prima di poter fare sciopero. Un principio semplice che vale in 17 su 28 Paesi europei, tra cui Danimarca, Germania, Olanda, Portogallo e Regno Unito. 
 

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