Crisi di governo, Renzi: «Torno a casa, a giugno le elezioni»

Crisi di governo, Renzi: «Torno a casa, a giugno le elezioni»
di Alberto Gentili
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Domenica 11 Dicembre 2016, 09:40 - Ultimo aggiornamento: 11:03

ROMA «Ora che ho chiuso tutti gli scatoloni, mi sento più leggero. Sono sicuro che Paolo Gentiloni farà bene, sono soddisfatto per come si conclude questa crisi. Ora me ne vado a casa, ho finito il lavoro e riprendo il mio cammino: mi occupo del partito». Matteo Renzi a sera, dopo un'intera giornata trascorsa per sbrogliare la matassa della crisi insieme ai maggiorenti del Pd, tira un respiro di sollievo. Non senza una punta di amarezza: «Ho letto ancora critiche contro di me perché ho accettato di restare, su richiesta del capo dello Stato, qualche giorno a palazzo Chigi. Sono cose che fanno male: in un Paese dove non si dimette mai nessuno, sono l'unico ad andarsene avendo appena preso in Senato 173 sì alla fiducia. O vinco il premio idiota dell'anno, oppure qualcuno dovrà pur riconoscere la mia coerenza».
Il Grande Tormento, quel dibattersi tra la possibilità di piegarsi al pressing del capo dello Stato che fino all'ultimo gli ha proposto di restare a palazzo Chigi e la «voglia di togliermi di mezzo», è infatti finalmente alle spalle. Renzi ha deciso di confermare ciò che aveva annunciato domenica notte dopo «la batosta» bruciante del 60% di No al referendum: «Mi faccio da parte, mi occupo del Pd e del suo rilancio. Alle elezioni si andrà per vincere...».
Già, le elezioni. E' proprio il timing del voto anticipato la questione che ieri ha animato (e parecchio) le discussioni a palazzo Chigi. Dario Franceschini, dopo la tregua siglata l'altra sera, è tornato alla carica per chiedere tempi «più lunghi». E così Maurizio Martina e Andrea Orlando. Per tutti un solo leitmotiv, identico a quello fatto filtrare dal capo dello Stato: «Per rifare la legge elettorale di Camera e Senato ci vuole tempo, non bastano un paio di mesi. E' inutile stabilire fin da ora una data di scadenza del governo che nascerà. E poi ci sono tanti impegni internazionali da rispettare, compreso il G7 di fine maggio». Posizione analoga a quella di Angelino Alfano che, fiutando «un piccolo spiraglio», era tornato a proporre il Renzi-bis.

VOGLIA DI ELEZIONI
Ma il segretario del Pd, determinato a andare al voto «al massimo entro giugno, in ottobre non si può: ci accuserebbero di ritardare per dare i vitalizi ai parlamentari...», ha tenuto duro. E terrà duro: «Ma non avete sentito le dichiarazioni dei Cinquestelle, della Lega, perfino di Berlusconi? Tutti spingono per un governo di breve durata e di elezioni ravvicinate. Insomma, non è Renzi che vuole il voto, è Renzi che non ha paura del voto!». Pausa, sorrisetto: «Un governo comunque sta in piedi finché ha la fiducia...».
Non è però questo l'epilogo che si immagina Renzi. Da Gentiloni, che non guida correnti e cui è legato da una stretta amicizia personale, non si aspetta brutte sorprese: «Paolo è una persona competente e leale».
Ecco, la lealtà è il requisito - oltre alla competenza - che al segretario piace di più del probabile futuro premier. Ed è quello che l'ha spinto a puntare sul ministro degli Esteri. Eppure, durante il breve colloquio al Quirinale, Luigi Zanda, Ettore Rosato, Lorenzo Guerini non hanno fatto il nome di Gentiloni. Si sono limitati a confermare il rifiuto del segretario a restare a palazzo Chigi e la sua coerenza: «Si è dimesso come aveva annunciato, fatto insolito nel costume politico del Paese». E a offrire la disponibilità del Pd «a sostenere ogni sforzo del capo dello Stato per una rapida soluzione della crisi». La ragione di questa omissione: la Direzione dem non ha votato mercoledì scorso il via libera a indicare Gentiloni come premier.
Tra uno scatolone e l'altro, Renzi insieme a Luca Lotti si è occupato non solo della durata del nuovo governo, ma anche della sua ossatura. E l'intenzione, nonostante l'insistenza dei capi corrente, è quella di «cambiare il meno possibile»: «Gli innesti devono essere pochi, se il nuovo esecutivo deve durare poco, inutile rivoluzionare la squadra», ha teorizzato Lotti. Come sarebbe inutile inserire ministri di peso. Maria Elena Boschi? «Resterà». Ma Renzi ha tenuto a sottolineare: «La squadra la decide Gentiloni, non io».

VERSO IL CONGRESSO
Da domani, il segretario, comincerà davvero a occuparsi del partito. Forse con accanto proprio Lotti, se il suo braccio destro non resterà al governo. E Renzi è convinto che marcando una distanza dal Palazzo, strappandosi di dosso l'etichetta di establishment che inevitabilmente è incollata addosso ai premier e tornando il Rottamatore anti-casta, potrà vincere le elezioni: «Nonostante la batosta del referendum», confida il segretario, «c'è un grandissimo entusiasmo. Sms, mail, richieste di tesseramento, come non ce ne sono mai stati. Alle prossime elezioni se va male prendiamo il 30%, se siamo bravi saliamo al 40%. Che è poi quello che ha preso il Sì al referendum...».
Così, domani la Direzione dem benedirà l'incarico a Gentiloni e avvierà la fase congressuale: «Io non ci sarò, me ne resto sto in famiglia per un'intera settimana. Torno sul campo domenica». Quando, probabilmente a Milano, verrà celebrata l'Assemblea nazionale. Da lì scatterà la roadmap verso il congresso di metà marzo, che si concluderà con le primarie aperte. Obiettivo del segretario: ricevere una nuova investitura popolare e la candidatura a premier.

 
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