Poche risorse per la manovra: è battaglia sui temi-simbolo

Poche risorse per la manovra: è battaglia sui temi-simbolo
di Marco Conti
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Lunedì 6 Agosto 2018, 08:16
Sarà il timore che la luna di miele governo-cittadini possa volgere al termine o l'avvicinarsi di una legge di Bilancio dove sarà difficile piantare bandierine elettorali. Sarà la tentazione di allungare i tempi su ogni cosa sperando che alla fine l'altro ceda o di dichiarazioni rilasciate sotto l'ombrellone. Resta il fatto che da qualche giorno M5S e Lega sono tornati a fomentare i rispettivi elettorati. Coincidenza vuole che ciò sia accaduto proprio quando il governo ha cominciato a prendere in mano la questione legge di Bilancio scoprendo forse dalle parole del ministro dell'Economia Giovanni Tria che sarà difficile mettere in cantiere anche «l'avvio» della flat tax e del reddito di cittadinanza.

«M5S faccia Movimento, no a Tav e Tap. Opere del tutto inutili», tuona dall'estero Alessandro Di Battista facendo così ritrovare un po' di coraggio alla ministra Barbara Lezzi. «Al Sud servono infrastrutture» e no la Tap, sostiene la Lezzi replicando direttamente al vicepremier Salvini che da un po' ha smesso di parlare di migranti. Sulle grandi opere il vicepremier mostra di sentire ancora il richiamo del centrodestra che quando era al governo avrebbe voluto fare anche il Ponte sullo Stretto oltre a voler trasformare il Paese in un grande hub del gas. «Avanti sulle infrastrutture», ripete in serata spiegando che «su qualche cosa dobbiamo metterci d'accordo...».

IL PONTE
Lo scontro sulla Tap si ripete sull'alta velocità TorinoLione. Il ministro Toninelli è in attesa del parere di una commissione che, per Piero Fassino (Pd) «è composta da 5 membri di cui 4 sono dichiaratamente anti-tav», ma che forse neppure serviva visto che di analisi costi-benefici sono pieni i cassetti del ministero delle Infrastrutture. La Lega, inizialmente dubbiosa, ora la Tav la vuole e il suo sottosegretario Armando Siri lo va ripetendo dal giorno in cui si è insediato al ministero di Porta Pia. Ma il costo spropositato delle penali che si dovrebbero pagare alle imprese rischia di essere superiore a quello che pagherebbero nelle urne i Cinquestelle. Molti notav sono ora al governo anche se non indossano più il fazzolettino di riconoscimento. Per i grillini si tratta di una bandiera difficile da mollare e complicata da scambiare con l'abolizione dei vitalizi per i vecchi parlamentari, con il decreto dignità, i vaccini o l'aereo noleggiato da Renzi. Di Maio, quando replica a Di Battista, dà il senso di quanto la poltrona ministeriale sia in realtà più scomoda dell'amaca dalla quale il Dibba «pungola» i compagni di partito. Nell'elenco delle cose fatte e da fare che il vicepremier ricorda al Dibba non c'è la Tap come non c'è la Tav.

Sulla nota acciaieria di Taranto lo schema dei due vice che procedono su binari paralleli - che non si incontrano ma che neppure si scontrano come spera invece il Pd - si ripete. «Non possiamo chiudere l'Ilva», sostiene Salvini che incalza Di Maio alle prese oggi al ministero con l'ennesimo incontro sindacato-Mittal. Per uscirne, senza che Beppe Grillo torni a tuonare «a titolo personale», Di Maio vorrebbe ridurre il numero degli esuberi, ma la strada è stretta, l'alleato preme mentre a Taranto gli elettori grillini sono sul piede di guerra.
«Con la rivoluzione fiscale l'Italia riparte, io ci credo!», ha scritto ieri sera in un tweet il vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini che vorrebbe al più presto sbattere sotto il naso dello scettico ex alleato berlusconiano la flat tax. Il problema è che i soldi non ci sono, come di recente ha spiegato ai colleghi ministri il responsabile del Mef Giovanni Tria. Non ci sono e rischiano di essere ad ottobre ancora meno se la speculazione - come teme lo stesso Salvini - sceglie l'Italia come prossima preda.

IL CONDONO
Si va, quindi, a caccia di soldi tra ipotesi di tagli alle detrazioni e aumenti selettivi dell'iva che troppo sanno di aumento delle tasse. La caccia alle coperture potrebbe passare da un decreto fiscale - collegato alla manovra - dove il leader della Lega prova a piantare la bandiera della «pace fiscale» che porta soldi ma che per i grillini somiglia troppo all'ennesimo condono che farebbe ritrovare il sorriso all'elettorato leghista doc un po' triste dopo il decreto dignità ma non a quello grillino.

E così nei prossimi giorni mentre le temperature scendono e gli ombrelloni si chiudono, il clima si surriscalderà e la tenzone sulle grandi opere e sulla manovra finirà con intrecciarsi anche alla questione Rai destinata a non essere risolta a breve. Salvini insiste su Marcello Foa presidente, ma è sempre più stretto tra nuovi e vecchi alleati. I secondi, ovvero i parlamentari di FI, non hanno intenzione di mollare e restano fermi sul no a Foa già espresso in Commissione di Vigilanza. I grillini cominciano però a non comprendere l'ostinazione leghista che blocca il cda e le nomine dei direttori. Alberto Barachini, presidente della Vigilanza, ha chiesto agli uffici parlamentari di mettere insieme precedenti e pareri ma la vicenda rischia di finire a carte bollate.
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