Mosca senza più riserve e isolata dalla finanza. È già economia di guerra

Mosca senza più riserve e isolata dalla finanza. È già economia di guerra
Mosca senza più riserve e isolata dalla finanza. È già economia di guerra
di Paolo Balduzzi e Osvaldo De Paolini
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Mercoledì 9 Marzo 2022, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 12:04

Arriva un vento gelido dalla Russia, un vento che porta basse temperature ma anche un sentimento di grande tristezza. Un vento che porta l’odore pungente delle bombe esplose, la polvere di edifici crollati, l’ultimo respiro di famiglie falciate dai mortai. Quanto può resistere l’Europa di fronte a venti - ed eventi - di questo tipo? Allo stesso tempo, quanto potranno resistere la Russia e il suo popolo di fronte alla dura reazione del resto del mondo? Negli ultimi giorni si è molto discusso su quanto il Cremlino si sia preparato a sopportare le sanzioni economiche che gli sarebbero state imposte in seguito all’invasione dell’Ucraina: in effetti, il debito pubblico contenuto e la bilancia dei pagamenti in attivo avevano consentito a Mosca di accumulare ingenti riserve monetarie, tali da consentire una relativa tranquillità. La risposta di Europa e Stati Uniti all’aggressione è stata però massiccia e compatta, tanto che le sanzioni comminate la scorsa settimana hanno avuto un effetto immediato, soprattutto inatteso per l’aggressore.

Le città

Che la loro capacità corrosiva abbia colto di sorpresa Putin è provato dalla reazione del presidente russo, che ha reagito varando una black list dei Paesi considerati ostili promettendo pesanti ritorsioni (tra questi, vi è anche l’Italia).

Un segno della tensione che cresce è anche nella minaccia di chiusura immediata del North Stream 1 del vicepremier Novak all’annuncio che gli Stati Uniti stanno preparando l’embargo del petrolio russo. Tuttavia, per il momento a soffrire maggiormente sono le principali città russe, a cominciare da Mosca. Le vaste periferie e le infinite campagne vivono tuttora di un’economia poco globalizzata: una debolezza per l’economia e il benessere del popolo russo ma una forza per Putin, almeno nel breve. Ma quanto potranno resistere sotto il peso di una stretta così opprimente? Lunedì le Borse russe minori hanno aperto con prezzi delle azioni locali vicini allo zero. Persino colossi come Sberbank, Gazprom e Yandex quotati nei listini globali valgono ormai la metà o anche un quarto rispetto a soli quindici giorni fa. La scorsa settimana Putin aveva assicurato che avrebbe onorato il debito estero, ma nel fine settimana ha stabilito che tutti i pagamenti in dollari saranno invece realizzati in rubli. Una decisione che renderà tutto più complicato, considerando che in soli quattro mesi il rublo contro dollaro ha accusato una svalutazione senza precedenti.

L’isolamento

A questo punto vale domandarsi quanto ancora reggerà la capacità russa di restituire i prestiti con l’estero. Oltre al costo della guerra (stimato fra 3 e 20 miliardi di dollari al giorno), è assai improbabile che Mosca ottenga nuovamente accesso ai mercati dei capitali esteri, rendendo inutile continuare a onorare il debito: rischierebbe di esaurire le riserve. Di qui la quasi certezza che in breve tempo il debito sovrano russo possa andare in default, accentuando l’isolamento finanziario del Paese e accelerando la fuga delle imprese straniere. Per non dire delle attività locali: è di ieri la notizia che l’ex azionista di Pirelli, il broker russo Sova Capital che fa capo al miliardario Roman Avdeev, è entrato in amministrazione straordinaria dopo aver annunciato problemi di liquidità legate alle sanzioni. E Avdeev non è certo il primo a capitolare: solo a Mosca si contano una trentina di imprese medio-grandi in difficoltà. Difficile stilare un elenco esatto delle criticità, visto il controllo sempre più stringente sulle informazioni esercitato dal regime, addirittura impedendo la connessione con Internet globale. Per settimane la disconnessione della Russia dal sistema di pagamenti Swift è stata definita la “bomba nucleare” finanziaria. Ma secondo l’Ispi, l’Istituto di politica internazionale, è con il blocco delle riserve in valuta estera della Banca centrale russa che l’Occidente ha colpito Mosca dove fa più male. Dal 2014 la Russia ha infatti implementato politiche economiche volte ad accrescere le dimensioni delle sue riserve e a renderle meno dipendenti dal dollaro. Si è così passati dai 509 miliardi in valute diverse, di cui il 40% in dollari, ai 630 miliardi di fine 2021 di cui solo il 16% in valuta statunitense. L’obiettivo di Mosca era poter contare su fondi sufficienti per sostenere il rublo in caso di difficoltà e su una liquidità con cui aiutare il proprio sistema bancario. Ma ora non solo è impedito alla Banca centrale di vendere le sue riserve in dollari, euro o yen, pari al 54% del totale; sono bloccate anche quelle espresse in altre valute che però sono depositate nei forzieri dei paesi che hanno applicato le sanzioni.


Così la Banca di Russia ha dovuto ricorrere ad altri strumenti monetari. A cominciare dal tasso di interesse-chiave (l’interesse al quale una banca centrale presta denaro ad altre banche), più che raddoppiato dal 9,5 al 20%. Un aumento che però non è indolore per i cittadini russi dato che si sta già traducendo in un aumento dei tassi di mutui e prestiti e in una forte riduzione del potere d’acquisto dei salari. Non basta: per scongiurare una crisi di liquidità, il Cremlino ha anche vietato ai cittadini russi di spostare denaro all’estero o di lasciare il paese con più di 10mila dollari (o l’equivalente in altra valuta estera). Agli esportatori è stato inoltre ordinato di cambiare l’80% delle loro entrate in valuta estera in rubli e agli investitori stranieri è temporaneamente impedito di vendere gli asset russi in loro possesso. Tutto ciò non è però bastato a evitare il crollo del rublo in una spirale che, se la guerra non si ferma, in poche settimane colpirà direttamente anche la parte della popolazione che finora è rimasta indenne. Dal punto di vista politico, le difficoltà non sono inferiori. Da un lato, la grande macchina della propaganda russa, su cui l’Occidente non ha controllo e soprattutto di cui non può conoscere tutti i contenuti, cerca di cementificare l’opinione pubblica rispetto alla scelta tragica e forse suicida di Putin. Dall’altro, gli oligarchi, coloro che sono direttamente colpiti dalle sanzioni, chiederanno prima o poi il conto al sovrano. Molto dipenderà da come queste due forze si compenseranno. In queste situazioni, che per fortuna pochi di noi hanno già vissuto, le previsioni razionali si mischiano a quello che gli inglesi chiamano “wishful thinking”, ciò che si desidera. E la guerra, peraltro, non è fatta di razionalità. Dunque, le sanzioni economiche si stanno dimostrando efficaci, sebbene ancora non sono bastate a fermare Putin. Ma una stretta ulteriore, oltre ad accelerare il collasso della Russia - fatalmente spingendola nelle braccia della Cina - avrebbe effetti gravi anche per molti dei Paesi definiti ostili da Putin. Per questo è probabile che a determinare la fine della guerra non sarà l’Occidente, bensì l’oligarchia e il popolo russi. Ne sono convinti i principali centri di intelligence americani, secondo i quali sarebbe già in atto una manovra per la sostituzione dello zar. Sarà il successo di questa politica a determinare la durata del conflitto.

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