Peter Galbraith: «La carneficina in Siria spinge migliaia di jihadisti a colpire»

Peter Galbraith: «La carneficina in Siria spinge migliaia di jihadisti a colpire»
di Anna Guaita
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Martedì 20 Dicembre 2016, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 08:41
Esperto negoziatore in vari conflitti sia per conto del governo Usa che delle Nazioni Unite, diplomatico con un lungo passato nelle zone più calde del Medio Oriente, Peter Galbraith ha appena insistito con un lucido e incalzante fondo sul New York Times affinché si ponga fine alla guerra in Siria al più presto, accettando che «arrendersi è meglio che essere distrutti completamente».

E non pensa solo alla distruzione di antiche e nobili città siriane, di popolazioni inermi e innocenti, ma alle ferite inferte dal terrorismo al cuore dell'Occidente: «Non sappiamo se questi siano lupi solitari o esponenti di cellule terroristiche organizzate spiega al Messaggero - ma quel che sappiamo è che a motivarli è la carneficina in Siria».

A Washington vari esponenti politici ipotizzano di rafforzare gli armamenti dei ribelli moderati, cosa ne pensa? 
«No! Oramai hanno perso. Il regime di Assad ha avuto la meglio. Ha usato tattiche di indicibile brutalità ma ha avuto la meglio. A chi vuole continuare a spedire armi in Siria ricordo che nel gennaio del 1945 era chiaro che la Germania aveva perso. Se invece di aspettare la fine di maggio per dichiarare la resa, lo avesse fatto allora, decine di migliaia di vite sarebbero state salvate. E' lo stesso ora, in Siria».

Dunque la guerra è finita? 
«Sta finendo, e purtroppo hanno vinto i cattivi, ma bisogna essere pragmatici: prima se ne negozia la fine, prima finisce il massacro. Quindi spero che Donald Trump fosse sincero quando, nella prima intervista dopo l'elezione, ha detto che voleva negoziare con Assad e la Russia per finire la guerra».

Lei ha scritto un fondo sul New York Times proponendo un pacchetto di idee per la pace
«Russia e Stati Uniti dovrebbero fare pressioni sulle parti a loro vicine per ottenere alcune assicurazioni, ad esempio un minimo di libertà democratiche e l'amnistia per i ribelli. Ma è ancor più importante ottenere il diritto di rientro dei profughi con l'impegno a distribuire equamente l'assistenza per la ricostruzione. Quest'ultimo passo sarebbe cruciale anche per l'Europa stessa, e quindi i vostri governi dovrebbero spingere in questo senso. Il ritorno di centinaia di migliaia di profughi tra l'altro sarebbe anche un efficace strumento per stroncare l'influenza dell'Isis». 

Lei crede che sarà possibile ottenere queste concessioni? 
«Anche quando si perde una guerra c'è spazio per i negoziati. Capisco la frustrazione americana, la rabbia di Samantha Power (ambasciatrice Usa all'Onu, ndr) ma bisogna essere pragmatici. Ripeto: se finissimo la guerra oggi, salveremmo tante vite. Sta agli Stati Uniti ora parlare ai ribelli, convincerli che la resa è meglio della totale distruzione». Dopo l'omicidio dell'ambasciatore russo in Turchia, pensa che il summit a tre Russia, Turchia, Iran si terrà comunque? Che la nascente amicizia Turchia-Russia resisterà? «Non è proprio amicizia. E' l'interesse comune di pilotare la fine della guerra, che è la prima causa di queste violenze. L'assassinio dell'ambasciatore non fa che rendere il loro interesse comune ancora più pressante».
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