Italia zona rossa dalla Vigilia Natale al 3 gennaio: verso il sì a visite ad anziani e messe

Italia zona rossa dalla Vigilia Natale al 3 gennaio: verso il sì a visite ad anziani e messe
Italia zona rossa dalla Vigilia Natale al 3 gennaio: verso il sì a visite ad anziani e messe
di Alberto Gentili
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Mercoledì 16 Dicembre 2020, 23:46 - Ultimo aggiornamento: 17 Dicembre, 19:30

Altro che spirito natalizio, il governo ha litigato per ore ed ore sulla stretta anti-Covid per le Feste. Ma poi ha raggiunto una mezza intesa, ancora da mettere nero su bianco in un decreto e in un Dpcm: lockdown per l’intero Paese, dal 24 dicembre al 3 gennaio. Un Natale blindato, insomma. L’ipotesi di mediazione che alla fine dovrebbe prevalere (oggi un nuovo summit) è l’introduzione delle restrizioni su scala nazionale della zona rossa (tutti obbligati a restare a casa, negozi e ristoranti chiusi) negli otto giorni festivi e prefestivi dal 24 dicembre al 3 gennaio. Al 28, 29 e 30 dicembre verranno invece applicate le regole della zona gialla. Ai fedeli sarà sempre permesso di andare alla Messa e sarà prevista una deroga per consentire «ad un massimo di due congiunti stretti» di andare a trovare «i genitori anziani».

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Solo conviventi

«Sarà un Natale diverso, insieme soltanto agli affetti più cari», aveva detto qualche tempo fa Speranza. E così dunque sarà. Per evitare i pranzi e i pomeriggi di tombolate e panettone tra nuclei familiari non conviventi e dunque disinnescare «l’esplosione dei contagi», il governo varerà una zona rossa nazionale proprio negli otto giorni di festa.

In tutta Italia per quelle giornate nessuno potrà uscire di casa, se non per motivi di necessità lavoro o salute (o per andare a Messa). E i negozi, i bar, i ristoranti saranno sbarrati. Nel vertice cominciato alle due di pomeriggio e durato oltre cinque ore è andato in scena un «braccio di ferro feroce», secondo più di un partecipante. Uno scontro che si è chiuso con la bozza di mediazione, ma senza la firma delle renziana Teresa Bellanova che ha disertato il primo summit e ha fatto saltare l’incontro serale programmato proprio per ascoltare la posizione di Italia Viva: un ulteriore segnale di disimpegno da parte di Matteo Renzi.

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Il lungo scontro

A palazzo Chigi si sono formati gli schieramenti di sempre. Da una parte Giuseppe Conte, contrario a «chiudere in casa gli italiani a Natale». Dall’altra, l’ala rigorista incarnata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, Francesco Boccia (Regioni) e dal capodelegazione del Pd Dario Franceschini (Cultura). In mezzo, ma orientato verso la stretta, il grillino Adriano Bonafede. «E’ stata una battaglia lunga e logorante», raccontano. Speranza, Boccia e Franceschini si sono presentati all’incontro forti del sostegno delle Regioni, anche a quelle a guida leghista. Perfino il veneto Luca Zaia si era schierato per la linea dura. Così la terna rigorista è partita alla carica chiedendo la zona rossa dal 19 dicembre all’Epifania. Ma Conte si è messo di traverso: «E’ una follia chiudere gli italiani in casa per settimane. I nostri cittadini sono sotto pressione da mesi: temo per la tenuta psicologica e sociale del Paese che non reggerebbe a un nuovo lockdown generalizzato». Traduzione: «Al massimo posso accettare la zona rossa solo nei giorni festivi e soltanto dal 24 dicembre al 3 gennaio».

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Poi, complice l’appello di Luciana Lamorgese (Interni) che ha invitato a non chiudere i negozi nel prossimo week-end - «se scattasse la chiusura verrebbe innescata la fuga di massa con una migrazione del Covid in tutto il Paese» - garantendo però il controllo anti-assembramenti nelle vie dello shopping, Conte al primo passaggio ha incassato il “liberi tutti” per il week-end del 19 e 20. Un risultato utile anche per non azzoppare «il successo del cash-back».
I rigoristi però non si sono dati per vinti. Anzi. Speranza e Boccia hanno messo a verbale: «Anche le Regioni invocano maggiori restrizioni. E questa richiesta va tenuta in massima considerazione: è troppo alto il rischio di trasformare le Feste in un moltiplicatore di contagi». La spiegazione: «E’ vero che abbiamo raccomandato ai cittadini di non riunirsi con i familiari non conviventi, ma la tradizione del Natale è troppo forte e senza un divieto esplicito a uscire di casa, scatteranno le tombolate, i pranzi, i pomeriggi tra famiglie non conviventi. E il contagio esploderà inevitabilmente, con il risultato di mettere a rischio i più anziani e di rendere certa la terza ondata dell’epidemia».

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Conte, che il giorno prima aveva parlato «solo di piccoli ritocchi» alle misure anti-Covid, ha tentennato. Ma non si è arreso. Ha difeso negozi, bar e ristoranti: «Sono categorie già duramente colpite e un’ulteriore stretta potrebbe essere mortale. Senza contare il costo per le casse dello Stato di questa chiusura in termini di ristori...». Per poi ripiegare, sotto la pressione dell’ala rigorista, su una zona arancione per tutto il periodo. «Per lasciare almeno i negozi aperti e dare la possibilità di qualche piccolo ricongiungimento familiare». Salvo proporre, come mediazione, i «prefestivi arancio» (con bar e negozi aperti) e festivi rossi (tutto chiuso). Anche questo non è bastato.

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La solitudine del premier


La svolta è arrivata nel tardo pomeriggio quando è giunto sul tavolo di palazzo Chigi il solito bollettino dal fronte del Covid: 17.572 nuovi contagi e 680 morti. E quando Luigi Di Maio è salito sul carro rigorista, lasciando solo Conte: «Dal governo servono scelte decise per un Natale in serenità». A questo punto è spuntata la mediazione della zona rossa nei giorni festivi e prefestivi dal 24 al 3. Ma oggi verrà celebrato un nuovo summit e le sorprese non sono escluse.
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