Sanità, la carica dei 13 mila specializzandi per salvare i pronto soccorso

Sanità, la carica dei 13 mila specializzandi per salvare i pronto soccorso
di Mauro Evangelisti
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Giovedì 19 Dicembre 2019, 07:29 - Ultimo aggiornamento: 11:07

Andremo in ospedale e potremo trovare un primario settsntenne o un medico di 27 anni che non ha ancora terminato la specializzazione. Raccontata così, sembra un'innovazione in chiaroscuro, ma le norme inserite nel patto della Salute per sopperire alla carenza dei medici in corsia, hanno trovato il sostegno di regioni di destra e di sinistra. «Non è sbagliato consentire ai medici di settant'anni, su base volontaria di restare in servizio altri due anni - osserva l'assessore regionale del Lazio alla Salute, Alessio D'Amato - Sa cosa succede oggi? Ci sono specialisti in oncologia, nei trapianti, in neurochirurgia che vanno in pensione perché non possono restare negli ospedali pubblici e devono andare in pensione, ma il giorno dopo vengono assunti da grandi strutture private». Il ministro alla Salute, Roberto Speranza, l'ha chiamata «alleanza generazionale» e l'obiettivo è molto chiaro: colmare le lacune degli organici, perché a causa di una programmazione sbagliata delle borse di specializzazione non c'è ricambio sufficiente.

Patto per la salute, medici 70enni e specializzandi in corsia: la sanità corre ai ripari

FUGA
Secondo Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao Assomed, già oggi ne mancano almeno 8.000, cifra destinata ad arrivare, per i meccanismi di uscita, a 24 mila nel 2025. C'è infine un altro fenomeno: la fuga, ogni anno, di migliaia di medici dal settore pubblico a quello privato. Di fatto il via libera a settantenni in servizio e specializzandi rappresenterà una soluzione solo parziale. «Per quanto riguarda la questione dei settantenni - osserva Palermo - non è certamente questa la soluzione per tamponare le uscite, è un provvedimento limitato dal punto di vista numerico. La stragrande maggioranza dei colleghi che lavorano in ospedale, che fanno guardia, vanno in sala operatoria, fanno reperibilità, lavorano i festivi, non vedono l'ora di andare via. Arrivati al massimo contributivo, lasciano. Non mi aspetto una grande adesione. Potrebbe rimanere chi ha una responsabilità gestionale, che non ha la fatica gestionale da sostenere. Dunque parliamo solo di una parte dei primari, secondo me poche centinaia. Non sono un numero significativo». Discorso differente per gli specializzandi: contrattualizzare, a tempo determinato, gli specializzandi (vale a dire coloro che si sono già laureati in medicina e stanno sostenendo la specializzazione che può durare dai tre ai cinque anni), potenzialmente può portare negli ospedali almeno 13.000 unità. A questo va aggiunto il fatto che sono state previste 1.200 borse di specializzazione aggiuntive, ma gli effetti ovviamente li avremo solo tra quattro o cinque anni. Resta la domanda: il paziente non rischia di incrociare sulla sua strada un medico inesperto, il dottorino per dirla alla Carlo Verdone? Su questo replica Palermo: «Chiariamo una cosa: prima di tutto si attinge alle graduatorie tradizionali dove ci sono specialisti già formati. Per gli specializzandi, si parla di part time, 32 ore a settimana, e comunque mettiamo in campo non i gettonisti o quelli delle cooperative, ma persone che conosciamo. Secondo me rappresentano comunque il male minore, di fronte a una carenza conclamata». Uno dei settori in cui gli specializzandi sicuramente avranno più spazio è quello dei pronto soccorso, perché rappresenta da una parte un percorso formativo, ma richiede le energie di un trentenne. «Non abbiamo bisogno di settantenni - è brutale Palermo - ma di gente giovane che vada ad affrontare un lavoro che è pesante». In Italia le carenze nelle specializzazioni sono soprattutto nei pronto soccorso, in pediatria, anestesia e rianimazione, chirurgia, ginecologia e ortopedia.

PRIMA LINEA
Chi ogni giorno vive in prima linea, come Adolfo Pagnanelli, direttore del pronto soccorso del Policlinico Casilino, uno dei più grandi ospedali di Roma, osserva: «È evidente che siamo di fronte a una situazione di grave difficoltà, in particolare nei pronto soccorso dove i medici mancano da anni. Questa è una risposta necessaria e opportuna. L'inserimento degli specializzandi comunque avverrà in condizioni che garantiranno il massimo di supporto a questi giovani colleghi, che hanno già alle spalle una esperienza assistenziale. Teniamo conto di un dato: già oggi in alcuni pronto soccorso ci sono medici non specialisti, senza di loro sarebbe impossibile garantire il proseguimento dell'attività».

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