Matteo Salvini, Catania blindata e lui si allena con la Bongiorno per l’udienza in tribunale

Matteo Salvini, Catania blindata e lui si allena con la Bongiorno per l’udienza in tribunale
Matteo Salvini, Catania blindata e lui si allena con la Bongiorno per l’udienza in tribunale
di Mario Ajello
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Venerdì 2 Ottobre 2020, 10:07 - Ultimo aggiornamento: 19:47

È blindata Catania. Si temono incidenti. Matteo Salvini è tutto contento perché sono in arrivo Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Due presenze che, per il capo leghista, significano molto. Vogliono dire che la sua leadership della coalizione, se era messa in dubbio e ancora di più dopo il flop del Carroccio nelle elezioni regionali, viene riconosciuta (per ora) e Salvini prende una boccata d’ossigeno. Ma durerà questo clima di solidarietà di Forza Italia e di Fratelli d’Italia nei confronti di un leader che loro considerano ingombrante e non più vincente come un tempo? Salvini coglie l’attimo e dunque: tutti insieme appassionatamente in vista dell’udienza preliminare di domani per Salvini al tribunale di Catania, dove si deciderà - ma ci vorranno settimane - se l’ex ministro dell’Interno andrà o no a processo per sequestro di persone nel caso della nave Gregoretti. Polizia ovunque a Catania, perché si temono assalti dei centri sociali alla kermesse leghista.

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Mentre Salvini in albergo a piazza Verga, proprio di fronte al tribunale, fa le prove insieme all’avvocato Giulia Bongiorno. Che cosa dirà al gup Nunzio Sarpietro? Dirà che ha svolto il compito che gli chiedevano gli italiani - «Difendere i nostri confini dall’immigrazione clandestina» - e aggiungerà che non è stato disumano e insomma chiarirà alcuni punti che secondo lui saranno utili a scagionarlo: «A bordo della Gregoretti c’erano anche scafisti», «Sono stato in linea con la legge e la legge dice che un luogo sicuro non è per forza la terraferma e i migranti sono rimasti a bordo cinque giorni nel pieno del rispetto di ogni regola umanitaria. Avevano tre pasti al giorno. E godevano di ottime condizioni igienico-sanitarie». La questione processuale catanese è questa. Non è stata la Procura a chiedere il processo per Salvini ma il Tribunale  dei ministri.    Che ha tre magistrati ma i tre che hanno chiesto il processo sono scaduti nel loro mandato e ora ce ne sono altri tre. Come andrà a finire? Il gup deciderà. Intanto il mood di Salvini - che a Catania ha trasformato un processo in una kermesse e la discesa in Sicilia di tutti i suoi è diventata di fatto una forma di pressione sui giudici - è questo: «Io non dico che deve essere processato pure Conte, perché proprio non esiste  il reato contestato». E ancora: «Saranno gli italiani alle,prossime elezioni a dire se ho sbagliato o se,  come è evidente, ho agito in ossequio al bene della patria».

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E comunque le carte più temute dal team difensivo salviniano, per le vicende legate ai 14 mesi di Viminale, sono quelle legate all'altro processo in arrivo, a Palermo, per il caso Open Arms. Ma a maggior ragione, per il segretario, la decisione che potrebbero prendere i giudici catanesi a cominciare da domani nel corso dell'udienza preliminare diventa dirimente. 
Un disco rosso al processo, l'archiviazione, potrebbe rendere più complesso il cammino per i pm degli altri processi. Io leggendo le carte sulla vicenda Gregoretti - assicura Salvini - direi che non c'è stato alcun reato, conto che i giudici domani mi dicano grazie e arrivederci». 

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In attesa del grazie e arrivederci, Salvini, girando per la città,  chiede ai suoi: «Mi raccomando non andate a protestare sotto le finestre dei giudici, sennò i giornali diranno che siamo degli eversori, degli anti democratici, dei mostri».  Ovunque ha trasformato l’attesa del giudizio del gup in una mobilitazione di popolo. Che finisce con l'avere un peso anche nella partita politica che il segretario sta giocando per consolidare la sua leadership all'interno del centrodestra, appannata dal calo di consensi, dalla frenata delle regionali e dall'incalzare delle inchieste: commercialisti, Russiagate, Bondeno. Ed è riuscito a portare quaggiù a Catania anche Giancarlo Giorgetti, ma non Luca Zaia il moderatissimo. Per domani, la mossa sarà questa, e neanche il più infervorato Berlusconi della guerra alla magistratura si spinse a tanto.  Una volta lasciato il Tribunale di Catania, il leader leghista raggiungerà il palco e i suoi fan mobilitati al Porto. Si consumerà così lì il rito di "purificazione",  col senatore che racconterà di essersi riconosciuto colpevole davanti al giudice, dichiarandosi «reo di aver difeso i confini e pronto a rifarlo da presidente del Consiglio».

A meno che, nel caso vinca il centrodestra nel 2023, il presidente del consiglio non sarà lui ma la Meloni che in queste ore, sapientemente, a Catania tifa per lui.

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