Referendum costituzionale, il 29 marzo il voto sul taglio dei parlamentari. Conte: «Nessun legame con il governo»

Referendum costituzionale, il 29 marzo il voto sul taglio dei parlamentari. Conte: «Nessun legame con il governo»
Referendum costituzionale, il 29 marzo il voto sul taglio dei parlamentari. Conte: «Nessun legame con il governo»
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Lunedì 27 Gennaio 2020, 19:28 - Ultimo aggiornamento: 20:14

Si svolgerà il 29 marzo il referendum sulla riforma costituzionale per il taglio dei parlamentari. La data è stata indicata dal Consiglio dei ministri, come si apprende da fonti di governo.

«Oggi cominciamo a parlare delle cose da fare subito. Il primo appuntamento che abbiamo è il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari: la prima cosa di cui dobbiamo parlare è questa», ha detto oggi il capo politico «reggente» del M5s Vito Crimi, durante una conferenza stampa in Senato, dopo la debacle del Movimento alle regionali. 

Conte: nessuna connessione con il governo. Il referendum «non mi preoccupa. siamo fiduciosi che ci sia un ampio schieramento dei cittadini a favore di questa riforma», dichiara Giuseppe Conte a Otto e mezzo. Poi crolla il governo? «No direi, proprio di no, non vedo connessioni». 


Cosa prevede la legge sul taglio dei parlamentari. La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. L'istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all'estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4. 

I precedenti. Il referendum sul taglio dei parlamentari sarà il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due terzi è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata ed è diventata legge costituzionale. In base a quanto prevede l'articolo 138 della Costituzione, per il risultato non conta il quorum dei votanti che invece determina la validità dei referendum abrogativi. Il primo è quello del 7 ottobre 2001 quando si tiene il referendum per confermare o no la riforma del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell'Unione negli anni dei governo Prodi, D'Alema e Amato: passa con il 64,2% di voti favorevoli anche se l'affluenza si ferma poco oltre il 34%. Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006, riguarda la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi (su ispirazione della Lega di Bossi e con Calderoli ministro delle Riforme): la cosiddetta 'devolution' è bocciata con il 61% mentre i votanti raggiungono il 52%. Il 4 dicembre 2016 è la volta del terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana: la maggioranza dei votanti respinge il disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra l'altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire no è il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti però sono record, quasi il 69%. Prima conseguenza politica le dimissioni del governo Renzi.

Il quorum. Il referendum confermativo per le leggi costituzionali è disciplinato dall'articolo 138 della Carta. Serve a sottoporre ai cittadini la riforma votata dal Parlamento, ma può essere richiesto solo se i sì della Camera e del Senato non superano i due terzi dei componenti dell'assemblea. Tre sono i modi previsti dalla Costituzione per far partire la macchina referendaria: a chiedere il referendum possono essere 5mila elettori, 5 Consigli regionali o un quinto dei membri di una delle Camere (126 deputati o 64 senatori). Nel caso della legge sul taglio dei parlamentari, le firme sono arrivate da 71 senatori con il contributo decisivo di alcuni della Lega che hanno inteso così favorire la fine anticipata della legislatura.

A differenza dei referendum abrogativi, per la validità del referendum costituzionale non è obbligatorio che vada a votare la metà più uno degli elettori aventi diritto: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, indipendente da quante persone si recano ai seggi. 

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