Pd, domenica le primarie. Zingaretti, Martina e Giachetti: mai con i 5 stelle. I 3 divisi solo da Renzi

Giachetti, Martina e Zingaretti
Giachetti, Martina e Zingaretti
di Nino Bertoloni Meli
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Venerdì 1 Marzo 2019, 13:12 - Ultimo aggiornamento: 19:28

Un'alleanza con i 5Stelle? «Non se ne parla». Alleati per caso con FI o addirittura con la Lega? «Ma scherziamo, non esiste». Far rientrare nel Pd quelli che se ne sono andati? «Non è tema all'ordine del giorno». Abolire il reddito di cittadinanza? «Abolirlo magari no, ma farlo meglio questo sì». L'Europa? «Dobbiamo restarci, ma dobbiamo anche cambiarla».

Niente da fare, in un'ora di confronto non proprio al cardiopalma fra i tre candidati alle primarie del Pd, è stato arduo assai trovare qualche punto di reale e netta divisione fra Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti. Solo su una questione i tre hanno offerto tre posizioni distanti e confliggenti, un punto che poi è un nome e un cognome: Matteo Renzi. Uno, Zingaretti, per dire che sull'ex leader va messa una pietra sopra, la stagione zingarettiana, se sarà lui il prescelto ai gazebo, sarà segnata da una «netta discontinuità» con la stagione precedente, «dobbiamo includere, non dividere»; l'altro, Martina, per dire che Renzi e renzismo vanno ridimensionati ma anche no, «sono orgoglioso dei nostri governi, ma dobbiamo anche superare, andare oltre quell'esperienza, e poi basta di continuare a dividerci fra renziani e antirenziani, ci sono i democratici e basta»; il terzo, Giachetti, è stato il solo a rivendicare «tutto» della stagione passata, aggiungendoci anche la speranza, se non l'obiettivo, di poterci tornare quanto prima, «abbiamo ereditato un Paese alla sfascio, lo abbiamo rimesso su, e ora lo stanno di nuovo mandando a scatafascio».

CRAVATTA ROSSA
Per cinquanta minuti buoni il confronto va avanti senza particolari scosse, molto fair play, molto politicamente corretto. Martina sta in mezzo, l'unico con la cravatta (rossa come il Craxi dei bei tempi), gli altri senza e con giacca celestina, manco se lo fossero detti prima. In studio, per accordi preventivi tra gli staff, niente pubblico e niente domande da casa via social. La scossa, diciamo così, arriva nel finale, grazie al fatto che era stata prevista la possibilità di rivolgere domande incrociate fra i tre. Zingaretti addirittura ci rinuncia e chiede a Martina di fare lui l'appello per andare a votare numerosi, ma ci pensa Giachetti a scaldare l'atmosfera.

LA PROVOCAZIONE
«E' vero che te ne andrai dal Pd se vince Nicola?», lo provoca Martina. «Per me un partito non è una caserma, se chi vince fa tornare il Pd alla Ditta o addirittura reimbarca quelli che se ne sono andati, allora tolgo il disturbo». Scuotono la testa gli altri due, che sulle questioni interne di partito mostrano di fatto un asse con un obiettivo chiaro: superare, anzi archiviare, la stagione del renzismo. Non a caso da qualche tempo si sussurra che tra Zinga e Martina ci sarebbe già un'intesa che li vedrebbe entrambi protagonisti della nuova fase, «vengono tutti e due dai Ds, un accordo lo troveranno se non l'hanno già stretto», raccontano da giorni quelli che conoscono bene le vicende interne dem. Con notevole apprensione di quella parte dei renziani (Lotti, Guerini, Giacomelli) che sostengono Martina ma già sospettano manovre ai loro danni. E se Giachetti attacca Zingaretti in tv, i suoi lo fanno sui social, accusando il governatore di «usare i troll come M5S». Per la comunicazione del favorito, vincitore nei circoli dem, la sfida è già vinta anche sui social rivendicando l'hashtag #VotoZingaretti come trend topic. Versione contestata dallo staff di Maurizio Martina, che parla di un sorpasso successivo.

La preoccupazione, da qui a domenica, è tutta puntata sull'affluenza: «Puntiamo al milione di partecipanti», dicono (ma sarebbe comunque un record negativo, visto che finora il punto più basso sono state le ultime primarie con 1 milione e 800 mila partecipanti). Zingaretti ha poi partecipato a una iniziativa assieme a Paolo Gentiloni. Secondo l'ultimo premier dem, «la notizia che il Pd fosse morto era un tantino esagerata», ma adesso «serve un segretario forte che sappia includere».

 

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