Draghi chiude alla politica: «Un lavoro lo trovo da solo»

Il capo dell’esecutivo dice no a incarichi nel 2023 o a un ruolo da federatore del Centro: «Lo escludo»

Giustizia, Cdm approva riforma Csm all'unanimità: la conferenza stampa
Giustizia, Cdm approva riforma Csm all'unanimità: la conferenza stampa
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Venerdì 11 Febbraio 2022, 14:30 - Ultimo aggiornamento: 12 Febbraio, 00:01

Io federatore del centro? «Lo escludo. Ho visto che tanti politici mi candidano a tanti posti in giro per il mondo mostrando grande sollecitudine, ma vorrei rassicurarli che se decidessi di lavorare un lavoro lo trovo da solo». In tanti hanno ripreso ad invocarlo dopo la “partita” del Quirinale, ma la risposta che Draghi dà a tutti coloro che immaginano per lui ruoli e compiti è secca e ripetuta anche quando gli viene ricordato quel «nonno a disposizione delle istituzioni» che disse nella conferenza stampa di fine anno. «Lo escludo. Va bene? E’ chiaro? Chiuso», replica un po’ seccato escludendo quindi futuri ruoli sia politici che istituzionali.

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La bolla

Oltre l’orizzonte di questa legislatura Draghi non intende proiettare il suo futuro e ciò rappresenta una risposta diretta ai tanti dell’area di centro che hanno pensato che fosse opportuno lasciare Draghi a Palazzo Chigi pensando di poterlo “spendere” nella prossima legislatura. Ma Draghi i “sassolini” dalla scarpa se li leva non solo verso “i centristi” che lo invocano ma anche su una misura che ha trovato e sempre amato poco e che è di stretta marca Cinquestelle: ovvero quella misura che il ministro dell’Economia Daniele Franco bolla come produttiva «della più grande truffa mai subita dalla Repubblica»: il superbonus del 110%. 

Un affondo che colpisce, seppur senza nominarlo, il governo che lo ha preceduto e che segnala uno stile ancor più deciso rispetto a quello di qualche mese fa.

Una sorta di cambio di passo, un’accelerazione che serve al premier per non essere risucchiato nelle interminabili trattative tra partiti e tra le correnti che le compongono. L’impegno preso giusto un anno fa Draghi intende mantenerlo seguendo la linea del rigore e senza nessun rimpasto perché «la squadra va bene così», ma il tempo stringe e gli impegni da rispettare sono tanti ma stanno tutti riassunti nel mandato ricevuto un anno fa da tutte le forze politiche. Alla conferenza stampa che segue la riunione del Consiglio dei ministri che ha varato la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, Draghi si presenta con qualche ora di ritardo insieme ai ministri Cartabia e Franco. La mediazione sugli emendamenti della ministra della Giustizia non è stata facile, ma alla fine si è trovata l’intesa anche sulla base di una sorta di “gentlemen’s agreement” tra governo, Parlamento e forze politiche: l’esecutivo non mette la fiducia, ci potranno essere correzioni ma il perimetro della riforma non cambia e dovrà essere varata dall’Aula così da far votare il Csm con le nuove regole elettorali.

Quella del presidente del Consiglio è anche una lotta contro il tempo. Tutti i ministri hanno il fiato sul collo. La Cartabia promette i decreti attuativi sul processo penale entro breve. Il ministro delle Infrastrutture fornisce al premier un report nel quale emerge che mai tanti cantieri e appalti sono stati assegnati come quest’anno. La riforma della concorrenza va fatta entro marzo «perché dopo ci sono da fare i decreti attuativi». Una rincorsa senza precedenti per ammodernare il Paese che lascia ai partiti il compito di modificare qualcosa senza però potersi intestare nulla se non le frodi del superbonus.

Sia Draghi che la Cartabia negano che l’intesa sulla riforma del Csm sia stata faticosa. «Lunga, sì» chiosa la ministra con l’obiettivo di stemperare il clima. Rischi per il governo, dall’anno elettorale che lo attende, Draghi non li avverte e se ce ne fossero di fatto scarica la responsabilità sui partiti. Perché a differenza dei partiti buoni solo a chiedere scostamenti di bilancio su ogni problema, il premier dice di vedere «in senso chiaro il dovere del governo a proseguire e affrontare le sfide importanti per gli italiani». Le sfide sono, quella immediata, «il caro energia». Poi «l’inflazione che sta aggredendo il potere di acquisto dei lavoratori e diminuendo la competitività delle impresa; la terza sfida, oltre all’uscita dalla pandemia naturalmente, è il Pnrr, che sta andando molto bene». Un elenco che ricalca il mandato ricevuto un anno fa sul quale Draghi intende muoversi senza curarsi delle “buche” che preparano i partiti, nelle quali rischia di cadere la legislatura ma anche tutti coloro che un lavoro, da soli, non saprebbero trovarlo.
 

 

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