Crisi M5S complica il cammino di Conte ed esplode il caso Libia: pressing governo su Ue per missione

Crisi M5S complica il cammino di Conte ed esplode il caso Libia: pressing governo su Ue per missione
Crisi M5S complica il cammino di Conte ed esplode il caso Libia: pressing governo su Ue per missione
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Giovedì 2 Gennaio 2020, 20:52 - Ultimo aggiornamento: 21:17

L'escalation della tensione in Libia e la crisi del M5S: due eventi teoricamente lontani complicano ulteriormente il gennaio già rovente di Giuseppe Conte. Mese che si preannuncia fitto di vertici di governo e segnato dal rischio di fumate nere su argomenti chiave come la prescrizione o il dossier Autostrade. Non solo. Conte deve fare i conti con la stabilità, sempre più fragile, dei gruppi M5S, scossi dall'addio di Lorenzo Fioramonti e dall'espulsione di Gianluigi Paragone. E con la grana del dossier libico, sul quale Pd e M5S rischiano di entrare in frizione. Il sì del Parlamento turco alle truppe a Tripoli era atteso da Palazzo Chigi e non cambia la linea del governo: la soluzione politica è l'unica percorribile. Potranno però cambiare tempi e modi dell'azione.

L'obiettivo del governo - sarà il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ad occuparsi in prima linea in questi giorni del dossier - si sviluppa in due tappe: la missione Ue e la conferenza di Berlino, prevista per la seconda metà di gennaio. Proprio in queste ore, spiegano nel governo, si sta lavorando alla definizione della missione del 7 gennaio in Libia. Una missione con cui, si sottolinea, sulla base della proposta italiana l'Ue si ricompatta laddove prima era frammentata. Tanto che, nella conferenza di fine anno lo stesso Conte non escludeva aprioristicamente l'istituzione di una no fly zone di iniziativa europea. 

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Nel frattempo c'è da ultimare la nomina dell'inviato speciale italiano per la Libia e da definire l'annunciata visita a Roma del generale Khalifa Haftar, il grande avversario di Tripoli e Ankara. Certo, la crisi libica pone al governo un duplice rischio: che l'Italia sia tagliata fuori dalla regione, come accusano in queste ore dal centrodestra («ci sono tutti, noi siamo scomparsi», tuona Matteo Salvini); e che con la fine dell'inverno si riaccenda l'emergenza migranti. A tutto ciò va aggiunto che, sulla politica estera, le visioni di Pd e M5S sono spesso entrate in conflitto. Non a caso da FI e Lega si chiede a Conte di riferire in Aula laddove i Dem inoltrano la richiesta direttamente a Di Maio. Mentre nel M5S, sul dossier libico, i «big» restano in un prudente silenzio. La crisi libica si interseca in un puzzle esplosivo per la maggioranza. Il 7 il vertice sulla prescrizione darà un primo assaggio dello status quo dei rapporti tra M5S, Pd, Iv e Leu.

Di certo il confronto sull'agenda 2023 sarà in più tappe e un punto di caduta potrebbe essere trovato solo dopo le Regionali del 26 gennaio. Nel frattempo l'obiettivo è respingere le spallate di Salvini con un programma di lungo periodo che rilanci, da subito, crescita, Sud e giovani. «Gli interventi varati per gli asili nido e i bonus bebè sono solo il primo passo. Ci aspetta un anno di intenso lavoro per fare in modo che le aspettative dei nostri giovani non siano tradite», sottolinea Conte dopo aver fatto visita a Bianca, il primo bebè del decennio. Ma quella di gennaio, per il premier, sarà quasi una corsa ostacoli. Con diverse date da cerchiare con il rosso a cominciare dal 12, giorno in cui dovrebbe essere ufficializzato il referendum contro il taglio dei parlamentati. Il tutto con l'appendice dell'incognita dei gruppi M5S.

L'espulsione di Paragone certifica come anche Di Maio si sia convinto del prosieguo della legislatura ma rischia di trascinare altri fuoriusciti, filo leghisti, al Senato. Mentre alla Camera la spina del fianco è rappresentata dall'ipotesi del gruppo «eco» guidato da Fioramonti. Secondo gli ultimi rumors Massimiliano De Toma e Rachele Silvestri sarebbero più vicini all'uscita ma il quadro potrebbe deteriorarsi con le possibili sanzioni in arrivo su chi non ha rendicontato. E l'impressione è che, con il nuovo anno, l'atteggiamento dei vertici su ritardatari e dissidenti sia radicalmente cambiato rispetto alla recente linea morbida.
 

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