M5S, fuga di 7 senatori verso la Lega: contatti in corso. Di Maio prova a fermare l'esodo

Il senatore Ugo Grassi lascia M5s e passa a gruppo Lega
Il senatore Ugo Grassi lascia M5s e passa a gruppo Lega
di Simone Canettieri
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Sabato 21 Dicembre 2019, 07:53 - Ultimo aggiornamento: 17:39

ROMA Chi rema contro, rema contro il Paese, ripete nelle ultime ore Luigi Di Maio. Ormai il leader M5S - complice anche l'ultimo blitz di Beppe Grillo - è diventato un fervente governista, sponsor della «stabilità». Un fattore che il ministro degli Esteri trova «indispensabile» per esercitare il ruolo dell'Italia nei teatri complessi della geopolitica, come la Libia. Ma proprio con questo rilancio dell'azione di governo (a partire da gennaio con un «cronoprogramma sociale») il capo politico M5S prova a esorcizzare il rischio di un inizio 2020 complicato. Il piano della Lega - come raccontato da Il Messaggero - passa dal Senato.

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In via Bellerio le bocche sono cucite sui nomi contattati e il capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo si limita sempre a dire che «ascoltiamo molti sfoghi». Il pressing è forte sugli eletti nei collegi uninominali da Roma in giù. A loro si possono promettere, senza troppe ansie, posti sicuri e carriere sfavillanti (soprattutto senza taglio dei parlamentari). Bastano sette grillini per destabilizzare la maggioranza e far entrare in campo i responsabili di Forza Italia: in questo modo cambierebbe lo scenario anche per il Pd e il M5S. «E soprattutto per Conte». Un'operazione chirurgica con tante sponde e variabili: dall'autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini fino al via libera al referendum sul maggioritario voluto da Calderoli, passando per le elezioni - il 26 gennaio - in Emilia Romagna e in Calabria.
Di Maio in privato ammette di essere «consapevole delle manovre leghiste». Ma in pubblico ostenta sicurezza: chi vuole, si faccia comprare. Ma in queste ore si è innescata anche un'altra dinamica che rischia di accelerare i cambi di casacca.

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I vertici del Movimento stanno per far partire una mail che avvisa i parlamentari di «mettersi in regola» con le restituzioni (almeno 2.000 euro al mese) e con il contributo a Rousseau di Davide Casaleggio (300 euro al mese) entro - «e non oltre» - il 31 dicembre. Pena: sanzioni disciplinari fino all'espulsione. Secondo le stime in possesso dei tesorieri di Camera e Senato, 1 su 3 tra gli eletti non è del tutto in regola. Ma, andando sul sito www.tirendiconto.it, si scopre che dal 2019 a oggi ci sono sette senatori che non avrebbero verso nemmeno un euro: Vittoria Bogo Deledda (da mesi fuori per problemi personali), Cristiano Anastasi (ingegnere di Giarre, nel Catanese), Lello Ciampolillo (da Bari), il medico napoletano Luigi Di Marzio (che ha già pubblicamente minacciato di andarsene), Fabio Di Micco (da Caserta) e i siciliani Michele Giarrusso e Pietro Lorefice.

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Secondo il meccanismo messo in moto da Di Maio e Casaleggio, se questi sette non si precipiteranno al bancomat si aprirà contro di loro una sanzione disciplinare che li spingerebbe fuori dal Movimento e anche in tribunale con la minaccia di pignoramenti. Questa dinamica, interna ai grillini, viene osservata con molta attenzione anche dalle parti della Lega. Dove la parola d'ordine è: passate con noi, le porte sono aperte e non dovete restituire né rendicontare tutti quei soldi. D'altronde Ugo Grassi, uno dei tre grillini approdati alla corte di Salvini dieci giorni fa, è stato accusato dal braccio destro di Di Maio, Dario De Falco, di essere «un traditore» perché per via della restituzioni «non riusciva a campare». Sempre in ottica fuori dal gruppo è data per scontata la vicenda di Gianluigi Paragone che ha votato contro il giorno della fiducia della manovra. «È indifendibile», dicono gli uomini di Di Maio. E dunque per l'ex direttore della Padania si aprono nuovi orizzonti all'opposizione.

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ALLA CAMERA
Ma la grana rimborsi è pronta a scoppiare anche a Montecitorio dove i grillini, che nel 2019 non hanno rendicontato nemmeno un euro, sul sito sono addirittura tredici. E tra loro c'è Lorenzo Fioramonti, il ministro dell'Istruzione dato dai vertici M5S «dimissionario dopo la manovra». Una decisione che ancora non è stata ufficializzata ma che nasce - almeno stando alle ricostruzioni - dai 3 miliardi che non sono stati stanziati per la scuola e l'università. Di Maio si tira fuori e oggi rilancerà il team dei facilitatori con la prima riunione operativa: c'è un 2020 frizzante alle porte.
 

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