Presidenzialismo, Meloni tra gelo e timori: così la riforma rischia

Giorgia non vuole inimicarsi Mattarella: se vince, sarà lui a doverle dare l’incarico

Presidenzialismo, Meloni tra gelo e timori: così la riforma rischia
Presidenzialismo, Meloni tra gelo e timori: così la riforma rischia
di Mario Ajello
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Sabato 13 Agosto 2022, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 17:40

«Il presidenzialismo è una riforma seria», parola di Giorgia Meloni. E proprio perché la ritiene un’innovazione da considerare con molta profondità e da attuare con serietà, la leader di Fratelli d’Italia non pare aver gradito troppo la maniera con cui l’elezione diretta del Capo dello Stato è stata buttata da Berlusconi nella bolgia della campagna elettorale con tanto di attacco a Mattarella. Il quale non era certo, come si sa, tra i prediletti di Meloni nell’ultima elezione per il Colle e tuttavia Giorgia si guarda bene dal seguire il Cavaliere nell’affondo sull’attuale Presidente della Repubblica. 

Anzi, chi ci ha parlato descrive la leader di FdI tra il costernato e l’infastidito per l’avviso di sfratto berlusconiano ai danni di Mattarella, considerato un attacco sbagliato.

E ai suoi la leader ha trasmesso questo messaggio: «Lasciate che la polemica si sgonfi da sola. Non calcate la mano». Insomma invita tutti ad assumere una postura zen. Da FdI stessi umori: «Basta autogol e fughe in avanti». E del resto: perché mettersi contro il massimo rappresentante delle istituzioni, l’arbitro politico e colui che, dopo il voto del 25 settembre, darà l’incarico di premier a chi vince - magari proprio a Meloni - e dopo diventerà l’interlocutore fisso del governo sulla lista dei ministri, sulle leggi e su tutto il resto e non conviene affatto avere cattivi rapporti con lui? Oltretutto, proprio perché «il presidenzialismo è una riforma seria» - e «che riguarda anche l’economia, perché grazie alla stabilità istituzionale si riesce a dare fiducia agli investitori», come ha fatto notare Giorgia ieri mattina a Radio Montecarlo - va maneggiata con cura, fatta lievitare con attenzione e sottoposta con pazienza a tutte le triangolazioni e le relazioni possibili e non agitata come un oggetto contundente. 

Siccome Berlusconi non avuto tutte queste accortezze nella sua uscita di ieri, si è subito pensato che volesse sporcare la carta presidenzialismo per fare un torto a Meloni che a questa riforma tiene particolarmente e per impaurire Mattarella spingendolo a non dare a Giorgia l’incarico nel caso trovasse il modo per non darglielo. Ma si tratta di ragionamenti, sulle prime piuttosto diffusi sia a destra sia a sinistra, eccessivamente sottili e dietrologici. Ai vertici di FdI hanno capito subito che l’intento del Cavaliere è stato un altro e il solito: mettersi al centro della scena, non arrendersi all’idea che la campagna elettorale possa diventare un corpo a corpo tra Meloni e Letta con lui relegato nella posizione dell’anziano ormai quasi fuori gioco. Ma figuriamoci: Silvio si sente come al solito il forever young e il one man show. E la gaffe su Mattarella segnala anzitutto questo: eccomi sono sempre io che faccio notizia, è di me che dovete parlare e con me se la deve prendere la sinistra perché il loro vero nemico resto per fortuna sempre io. 

I RISCHI
Su questo caso da lui scatenato, Meloni glissa per evitare di dare pubblicamente torto a Berlusconi e di creare una divisione nel centrodestra che già fatica tanto a stare insieme e a dissimulare tutte le differenze interne. E l’ordine diramato ai dirigenti di FdI è quello di non soffiare sul fuoco di questa vicenda silviesca. Il solo La Russa ne parla, ma proprio per smontarla: «Non voglio polemizzare con Berlusconi ma credo che sia prematuro discutere oggi del tema di Mattarella, ben prima che la riforma presidenziale si compia. 
Inoltre l’ipotesi delle dimissioni necessiterebbe il suo consenso: l’idea di una Presidenza con il cartellino di scadenza non è la più adatta». Più con Sergio che con Silvio dunque i meloniani. A cominciare dalla titolare che non si esprime ma è la prima a sapere che l’attacco del Cavaliere non giova al profilo che Giorgia vuole dare alla destra in avvicinamento (probabile ma «occhio agli scivoloni», ripete sempre ai suoi) a Palazzo Chigi: quello di una forza tranquilla, rassicurante, rispettosa delle istituzioni (a cominciare dal Colle naturalmente) e non fracassona o leggerista e spettacolare. Nel «noi facciamo promesse irrealizzabili» ribadito anche ieri dalla leader di FdI c’è appunto questo: anche la promessa del presidenzialismo, per non farla restare una sparata elettorale, va lavorata bene e con un impegno che non la vanifichi e la riduca a rissa o a bla bla. Quanto al rapporto con Mattarella, in certe parti del centrodestra, più berlusconiane e leghiste e non meloniane, si comincia a sussurrare - malignamente - che possa diventare un nuovo Scalfaro, ossia che proverà a mettere i bastoni nelle ruote del prossimo governo se non sarà di sinistra. Si tratta di pregiudizi a vuoto, ma chissà se il Cavaliere - ragiona qualcuno dei suoi, estremizzando - non abbia voluto avvertire il Colle che non sono ammesse cattive sorprese. 
 

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