Meloni, asse con Orban e sfida alla Lega: «La destra siamo noi»

Meloni, asse con Orban e sfida alla Lega: «La destra siamo noi»
Meloni, asse con Orban e sfida alla Lega: «La destra siamo noi»
di Simone Canettieri
4 Minuti di Lettura
Martedì 4 Febbraio 2020, 10:45

Premette: «Nessun derby con la Lega». E dunque con Matteo Salvini che alla fine non c'è stato ieri e non si presenterà nemmeno oggi, quando tornerà da Palermo. Poi però Giorgia Meloni rimarca: «La destra siamo noi». Perché il Carroccio «ha fatto un percorso diverso».

Una sottolineatura che arriva da una saletta al primo piano dell'Hotel Plaza. Breve incontro con la stampa prima della cena (in programma alle 19.30 in quanto «gli americani sugli orari sono rigidi», dicono gli organizzatori) che apre questo meeting dei Conservatori dedicato alle figure di Karol Wojtyla e Ronald Reagan. Tra gli ospiti, il premier ungherese Viktor Orbàn («Ci siamo incontrati prima: se dovesse lasciare il Ppe, i Conservatori sarebbero il suo approdo naturale», dice Meloni) ma anche Santiago Abascal, leader di Vox, «los hermanos de Espana», scherza la leader di Fratelli d'Italia. La quale si trova perfettamente a suo agio nel ruolo di «punto di riferimento» della destra europea, e non solo. Visto che questa mattina Meloni partirà per Washington per conoscere i membri del Congresso americano. Una lunga marcia per accreditarsi come punto di riferimento dell'amministrazione Trump? «No, io sono il referente del popolo italiano, questo è il mio lavoro», è la risposta di chi è pronta a incunearsi in una prateria, lasciata libera dalla Lega (dopo il Metropol di Mosca). Che non a caso, nella sua riorganizzazione interna, ha dato la delega agli esteri a Giancarlo Giorgetti. La tentazione di mettere «Giorgia» e «Matteo», l'una contro l'altro, c'è. Anche perché - complici le candidature per le regionali - non mancano le frizioni tra i due.

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Alla fine Salvini ha dato forfait a questi stati generali dei conservatori, ma oggi, sembra, incontrerà «altrove» Orban, prima che riparta per l'Ungheria. «Da noi - dice Meloni a proposito del premier magiaro - viene sempre raccontato come una specie di mostro. Ma ricordiamoci che è il capo di governo di un Paese dove è stato riconfermato con libere elezioni con oltre il 50% dei voti».

La National Conservatism Conference di Roma ruota intorno al ruolo di Giovanni Paolo II,«un pezzo della mia famiglia, un papa patriota», rimarca la leader di FdI, attenta a non scivolare sul gioco della torre con Bergoglio. Perché «non faccio il cardinale, ma la politica». Anche se, confessa, «delle volte non ho condiviso alcune sue posizioni. Sono credente, ascolto le parole di sua santità. Sul piano della politica, a volte le condivido a volte no». Un esempio? Quando l'elemosiniere del Pontefice «è andato a riattaccare l'elettricità a un centro sociale che organizza rave a Roma facendoci sopra i soldi». In quanto «avrebbe più senso aiutare un bambino attaccato a delle macchine che lo tenevano in vita contro il parere dei suoi genitori», ribadisce ancora Meloni.
Sempre più consapevole di giocarsi una partita nel centrodestra da protagonista. Con un antagonismo con Salvini ormai abbastanza evidente. Così tanto che va dissimulato: «Credo sia importante che tutti possano crescere fuori dalla coalizione».

Ma al ritorno dal suo viaggio negli Usa sul tavolo ci saranno i nodi per le regionali da sciogliere. La Puglia si appresta a essere un terreno di battaglia: «Fitto non si tocca», rimarcano da Fratelli d'Italia per andare al frontale con la Lega. Ma queste sono polemiche italiane, adesso è il momento del respiro internazionale. Tra uno sguardo a Reagan come «padre moderno della democrazia nazionale» saldata «nella sovranità popolare» e un ponte lanciato verso la lezione economica di Trump, «un modello da portare in Italia in Europa come alternativa alla cieca austerità». Con una chiosa finale che sembra un ossimoro, ma per Meloni non lo è: «Ormai i veri democratici siamo noi conservatori».
 

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