Governo, piano Draghi: dai Vaccini all'Europa, dalla Solidarietà ai Giovani e alla Pandemìa, la nuova Italia in 5 capitoli

Governo, piano Draghi: dai Vaccini all'Europa, dalla Solidarietà ai Giovani e alla Pandemìa, la nuova Italia in 5 capitoli
di Alberto Gentili
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Martedì 16 Febbraio 2021, 00:37 - Ultimo aggiornamento: 00:48

Saranno cinque i capitoli chiave del discorso che Mario Draghi pronuncerà domani in Parlamento: pandemia, vaccini, solidarietà sociale, Europa-Recovery Plan e giovani. Questi ultimi due sotto il segno dell’ambiente e della transizione ecologica.


Non è un caso che il premier partirà dalla lotta al virus. Il presidente del Consiglio è convinto che il Paese stia vivendo «una grave emergenza sanitaria, economica e sociale» e che solo sconfiggendo la pandemia (con misure restrittive e con l’accelerazione del piano vaccinale) sarà possibile uscire dalla «depressione anche psicologica» e innescare la ripresa sostenendo l’occupazione e i consumi. Nel frattempo, grazie alla «solidarietà sociale», verranno garantiti i ristori e la Cig in modo da tutelare le imprese ormai al collasso e chi ha perso il lavoro a causa degli effetti devastanti sull’economia del Covid.


Draghi traccerà il profilo di un governo «convintamente europeista», come anticipato durante le consultazioni. E «convintamente ambientalista»: «Qualsiasi cosa faremo, a partire dalla creazione di posti di lavoro», ha spiegato sabato ai suoi ministri, «deve essere all’interno della grande sfida della sostenibilità ambientale». Da qui il battesimo del dicastero per la Transizione ecologica.
Importante, nel discorso, anche il capitolo dedicato al Recovery Plan: «E’ la sfida decisiva, quella che permetterà la ricostruzione del Paese. Dobbiamo lavorarci da subito e bene, in piena sintonia con l’Europa», il leitmotiv dell’ex capo dello Bce. Draghi ha l’ambizione, guidando l’Italia da Palazzo Chigi, di diventare l’alfiere di un salto in avanti dell’Unione grazie all’introduzione di una autonoma capacità fiscale della Ue e rendendo strutturali gli eurobond. Impresa molto difficile, ma non impossibile per chi nel 2012 salvò la moneta unica e poi sventò la crisi dei debiti sovrani grazie al Quantitative easing.


Il premier inoltre legherà strettamente il Recovery Plan alle riforme della giustizia civile, del fisco (Irpef e taglio del costo del lavoro) e della pubblica amministrazione con un «efficientamento della burocrazia».
Non mancherà un capitolo dedicato ai giovani, alla scuola, alla formazione. Anche perché è nel titolo stesso del Recovery Plan, “Next generation Ue”, il richiamo alla costruzione di un Paese dove l’attenzione alle nuove generazioni deve essere massima. «Per avere debito buono e non compromettere il futuro dei giovani», ha spiegato Draghi durante le consultazioni, «è meglio fare investimenti produttivi, piuttosto che dare sussidi a pioggia. E se vogliamo superare i sussidi creando lavoro, occorre aprire i cantieri. Tutte le opere infrastrutturali programmate e finanziate devono essere assolutamente realizzate».

Pandemia

Sistema sanitario rivisto e digitalizzazione dei dati

Tra le missioni più importanti che troveranno spazio nel programma di governo delineato da Mario Draghi alle Camere, c’è senza dubbio quella di rinnovare il sistema sanitario italiano. La pandemia ne ha evidenziato i limiti vecchi, creandone di nuovi. In particolare ci si aspetta che il premier, già nelle prime settimane di attività, prenda in mano la situazione e imponga una svolta che abitui la nostra sanità a convivere con situazioni di questo tipo. D’altronde, che la Covid-19 non sarà un caso isolato è ormai opinione di tutti gli scienziati più autorevoli.
Al netto dell’avere un piano pandemico sempre aggiornato (da poche settimane ne è in vigore un nuovo, fino al 2023, ma alcuni esperti non lo valutano adeguato), servirà coltivare le competenze acquisite e non dimenticare le lezioni anche pragmatiche apprese in questo anno di emergenza. Dalla capacità immediata di disporre di un numero adeguato di terapie intensive in caso di necessità, alla creazione di una rete produttiva nazionale per i dispositivi di protezione personale (come mascherine o visiere), fino alla predisposizione nelle strutture ospedaliere di spazi separati o percorsi differenziati da attivare in caso di emergenza. Un po’ come avviene per i terremoti in pratica, ogni centro sanitario dovrà avere un piano su misura che definisca come si deve agire in situazioni di questo tipo. 


Non solo, il progetto di rinnovamento (in cui i fondi europei, compreso ipoteticamente il Mes, giocano un ruolo fondamentale) passa anche per la digitalizzazione strutturale del Ssn. La gestione regionale infatti, ha fatto sì che in questo momento sia impossibile raccogliere con efficienza dati organici sugli italiani e sulla loro salute. Evidenza emersa in modo imbarazzante nella gestione del vaccino. L’uso di piattaforme e data center differenti, non può più costituire un limite. Il tutto, senza dimenticare la svolta della medicina di prossimità cara al ministro neo-confermato Speranza. Serve un grande piano di welfare territoriale, che riporti i medici nelle abitazioni dei cittadini (in particolare quelli cronici), introducendo anche a supporto infermieri di comunità a supporto della domiciliarizzazione delle cure.

Francesco Malfetano

Vaccini

Più personale e sedi: accelerare le dosi

«Sconfiggere la pandemia». Come già avvenuto nel discorso successivo all’accettazione dell’incarico da Sergio Mattarella, la necessità di piegare al più presto il Coronavirus attraverso un’accelerazione della campagna vaccinale, sarà ribadita al Senato dal neopremier nel suo discorso programmatico. D’altronde i ritmi attuali di somministrazione (ieri circa 11mila dosi iniettate, la media giornaliera è invece di 58mila) parlano da soli. La svolta non è più rimandabile, soprattutto ora che le varianti incombono sulla Penisola. Dunque, stando a quanto appreso nell’ultima settimana, il piano del premier verterà su quattro punti cardine: personale, sedi, priorità e dosi.
Per il primo, che risponde alla necessità di raggiungere al più presto un ritmo da 300mila dosi al giorno (per poi salire a 500mila quando si avrà a disposizione un maggior numero di fiale), verranno schierate in campo ben 70mila sanitari in più. Si tratta dell’esercito di medici di famiglia attivi in tutta Italia, a cui sarà chiesto di somministrare i vaccini che non hanno bisogno della doppia dose, quindi AstraZeneca e, quando sarà approvato, Johnson&Johnson. Per quanto riguarda le sedi per la somministrazione, bocciate le primule del commissario per l’Emergenza Domenico Arcuri, si punterà a creare una rete di postazioni sparse sul territorio attingendo a strutture già esistenti: parcheggi, centri fieristici, cinema e palasport e teatri. Come ad esempio hanno già iniziato a fare alcune Regioni, tra cui il Lazio che ieri ha inaugurato un hub con 10 postazioni all’interno dell’Auditorium Parco della Musica. 


Il tema della priorità, com’è noto, Draghi ha deciso di ridefinirlo partendo dalla scuola, vaccinando da subito insegnanti e personale scolastico in modo da far riprendere in presenza ed in sicurezza le scuole fino alla fine di giugno (per gli studenti screening a tappeto invece). Per quanto riguarda le dosi, che al momento non sono sufficienti, ci si aspetta buone notizie dalla Ue ma l’obiettivo è più che altro farsi trovare pronti quando arriveranno le 50 milioni previste nel secondo trimestre dell’anno. In aggiunta, come emerso dalle consultazioni, Draghi ha in mente una centralizzazione della logistica che passa anche per la creazione di una piattaforma digitale che consenta davvero di verificare in tempo reale l’andamento delle vaccinazioni e un call center per le prenotazioni.

Francesco Malfetano

Solidarietà

La coesione sociale come filo conduttore

Tutto il programma di Mario Draghi avrà un filo conduttore: la coesione sociale.

L’ex governatore della Banca centrale europea ha detto fin dall’inizio che questo sarebbe stato il filo conduttore del suo ufficio. La stessa composizione della coalizione che sosterrà il suo governo ne è la plastica raffigurazione. Fino a poche settimane fa chi avrebbe potuto dire che la Lega ed il Pd, Forza Italia e i Cinquestelle e persino Leu, avrebbero tutti preso parte ad un impegno comune di governo per fronteggiare insieme la peggiore crisi dal dopoguerra ad oggi. Il concetto è semplice: dalla pandemia si esce tutti quanti insieme. L’obiettivo deve essere comune. Alcune scelte sono divisive, ma andranno fatte insieme sempre con lo scopo ultimo del bene comune. Ci sarà da decidere sul blocco dei licenziamenti, su quello degli sfratti, sulle cartelle fiscali che il primo marzo potrebbero ripartire, su una riforma fiscale sulla quale per anni le parti politiche si sono battute ferocemente su posizioni antitetiche. Non lasciare nessuno indietro, probabilmente, non significherà bloccare senza limite i licenziamenti.

Più probabilmente significherà riformare gli ammortizzatori sociali (dossier al quale sta già lavorando il neo ministro del lavoro Andrea Orlando), attuare politiche attive che permettano davvero di riqualificare il personale per destinarlo a quei nuovi lavori la cui domanda di manodopera cresce senza però trovare corrispondenza nel mercato del lavoro. Rafforzare la coesione sociale significherà superare, molto probabilmente, le differenze su una riforma della giustizia che non significhi fine prescrizione mai. In questi passaggi l’obiettivo di Draghi è, probabilmente, fare in modo che i partiti che condivideranno questa esperienza di governo si legittimino tutti l’un l’altro. Alle prossime elezioni non ci dovrà essere nessuno considerato “unfit”, non adatto a sedere a Palazzo Chigi. Ma rafforzare la coesione sociale significa anche azzerare i divari territoriali che si trascinano inevitabilmente dietro recriminazioni e conflitti tra Stato e Regioni, e anche tra le stesse Regioni. Questo significherà che non esistono locomotive e vagoni, ma un unico treno su cui tutti viaggiano alla stessa velocità. 

Andrea Bassi

Giovani

Scuole aperte più a lungo e risorse per i docenti

Per il neopremier sarà uno dei capitoli centrali, se non quello centrale: i giovani. La «povertà di conoscenze è l’anticamera della povertà economica», ha già più volte ricordato l’ex governatore della Banca centrale europea. La pandemia ha fatto perdere mesi di aula agli studenti, la didattica a distanza ha penalizzato quelle famiglie e quei territori che già erano più svantaggiati. A tutto questo andrà posto rimedio. Sulla scuola e sull’istruzione andrà investito molto. Le scuole dovranno rimanere aperte più a lungo, e andranno impiegate risorse per rafforzare il corpo docente e le strumentazioni didattiche. Bisognerà evitare che il debito contratto oggi per affrontare la pandemia sia insostenibile un domani per gli attuali giovani che saranno chiamati a ripagarlo. Se si investe bene questo rischio non ci sarà. È la differenza tra «debito buono e debito cattivo» già illustrata da Draghi nel suo intervento al Financial Times. Dunque i veri beneficiari del Next Generation Eu, come del resto dice lo stesso titolo del programma europeo, dovranno essere loro, i giovani. Sarà necessario invertire quelle tendenze che ancora oggi si manifestano.

A dicembre 2020, ultimo dato Istat, la disoccupazione giovanile è tornata a sfiorare il 30%; siamo al 29,7%, in aumento di 1,3 punti su dicembre 2019 (poco prima che scattasse l’emergenza coronavirus). L’Italia si colloca anche tra gli ultimi posti, con un tasso di laureati fra i più bassi d’Europa, pari al 27,8% nel 2018, a fronte di una media europea pari al 40,7%, e un tasso di occupazione dei neolaureati pari al 56,5% nel 2018 (rispetto a una media europea dell’81,6%), superiore solo a quello della Grecia. Draghi, probabilmente confermerà quanto già detto all’atto dell’accettazione dell’incarico: «Abbiamo l’occasione di fare molto per il nostro Paese, con uno sguardo attento al futuro delle giovani generazioni». Va dunque invertita la rotta rispetto a quanto lo stesso Draghi aveva prospettato nel suo ultimo discorso da governatore della Banca d’Italia, quando aveva spiegato che «una crescita stentata alla lunga spegne il talento innovativo di un’economia; deprime le aspirazioni dei giovani; prelude al regresso; preoccupa particolarmente in un Paese come il nostro, su cui pesano un’evoluzione demografica sfavorevole e un alto debito pubblico. È grave lo spreco causato dal basso impiego del segmento più vitale, più promettente della popolazione». Questo spreco dovrà essere interrotto.

Andrea Bassi

Europa

Investimenti legati alle riforme di fisco, giustizia civile e Pa

La collocazione europeista e atlantista sarà ribadita a chiare lettere da Mario Draghi. Del resto è la ragione sociale del suo impegno. Ma i passaggi sulla vocazione comunitaria saranno molti. Draghi molto probabilmente sottolineerà il fatto che per la prima volta contribuenti tedeschi e francesi hanno accettato di pagare con le loro tasse spese di altri Paesi. Quella «solidarietà europea» sempre invocata, ma raramente dimostrata concretamente. Di questa “condivisione” del debito l’Italia, con i 209 miliardi del Recovery Fund, sarà la maggiore beneficiaria. L’occasione, dirà senza mezzi termini Draghi, non può essere sprecata. I fondi del Recovery vanno spesi tutti, vanno impegnati in progetti in grado di rafforzare la crescita futura del Paese e rendere sostenibile il debito pubblico. Se ben utilizzata, questa occasione può incidere sulla storia futura dell’Unione europea e portare verso una maggiore integrazione, con la creazione di un vero bilancio comune. 
Sarà dunque necessario agire non solo sul terreno degli investimenti, ma soprattutto su quello delle riforme, che saranno la vera eredità del Recovery. Tre saranno quelle principali su cui sarà concentrata l’attenzione: il fisco, la Pubblica amministrazione e la giustizia. Il fattore comune di queste tre riforme, dovrà essere quello di favorire l’impresa, gli investimenti e l’occupazione giovanile. Capiti gli obiettivi, le tecnicalità verranno di conseguenza.
Punto centrale del Recovery sarà, come noto, la transizione energetica. Draghi lo ha detto nel primo consiglio dei ministri: «Questo sarà un governo ambientalista». Non a caso ha creato il ministero della transizione ecologica affidandolo a Roberto Cingolani, che oltre al dicastero sarà chiamato a guidare un costituendo Comitato interministeriale per la transizione ecologica. Da qui passerà una consistente fetta dei finanziamenti europei del Recovery. Così come non è sfuggito agli osservatori più attenti che Draghi non ha nominato un ministro per gli Affari europei. A tenere i rapporti con la Commissione sarà direttamente lui. 
Insomma, nei prossimi mesi l’impegno, con la sponda europea, dovrà andare in una direzione di marcia chiara, quella di far uscire l’Italia dalla depressione psicologica ed economica. Solo così il Paese potrà essere instradato su un sentiero di crescita sostenibile e duratura.

Andrea Bassi

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