Draghi, la sfida di SuperMario: dopo l’Europa, l’Italia. Con «Whatever it takes» salvò l’euro

Draghi, la sfida di SuperMario: dopo l Europa, l Italia. Con «Whatever it takes» salvò l euro
Draghi, la sfida di SuperMario: dopo l’Europa, l’Italia. Con «Whatever it takes» salvò l’euro
di Luca Cifoni
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Martedì 2 Febbraio 2021, 21:41 - Ultimo aggiornamento: 3 Febbraio, 12:19

Poco più di un anno fa, al momento di lasciare la presidenza della Bce, ai giornalisti che gli chiedevano lumi sul suo futuro Mario Draghi aveva detto di non avere idee precise. E nei mesi successivi si è tenuto scrupolosamente alla larga da qualsiasi dichiarazione che potesse suonare come una presa di posizione nel dibattito politico italiano. Il suo ingresso a Palazzo Chigi, se il Parlamento gli darà la fiducia, rappresenta in realtà il coronamento di una lunga carriera di civil servant in Italia e all’estero, iniziata negli anni 80 ai tempi della Prima Repubblica: quando da giovane e brillante economista allievo di Federico Caffè viene scelto come direttore esecutivo della Banca mondiale. Rientrato in Italia si sposta ad appena 44 anni (è nato a Roma nel 1947) sulla prestigiosa poltrona di direttore generale del Tesoro, quando ministro era Guido Carli. Da questa posizione contribuisce a gestire gli sconvolgimenti economici che negli anni Novanta hanno preceduto quelli politici: la crisi della lira del settembre 1992 e poi la stagione delle privatizzazioni di cui fu sicuramente il principale regista operativo. A Via XX Settembre rimane con i vari ministri che si sono succeduti ma il sodalizio più significativo sia sotto il profilo professionale che umano è quello con Carlo Azeglio Ciampi, poi destinato a trasferirsi al Quirinale.


L’addio a questo incarico è del 2001, anno in cui con il governo Berlusconi uscito vincitore dalle elezioni inizia una nuova fase.

Draghi lascia spiegando di voler tornare all’insegnamento ma dopo pochi mesi ad Harvard accetta l’offerta della Goldman Sachs, per la quale diventerà poi vicepresidente per l’Europa.


IL RITORNO


Il ritorno a un ruolo istituzionale a fine 2005, è la risposta ad una chiamata: la Banca d’Italia ha vissuto mesi turbolenti e il suo insediamento sulla tolda di governatore al posto di Antonio Fazio ha anche una valenza affettiva: a Via Nazionale aveva lavorato prima della guerra il padre e il giovane Draghi l’aveva frequentata da giovane studioso.

Durante il suo mandato l’Italia e il mondo entrano nella grande crisi del 2008, che nel 2011 porta il nostro Paese sull’orlo del baratro finanziario. In quella torrida estate è già il presidente designato della Bce e in quella veste caldeggia insieme all’uscente Trichet, con una famosa lettera, le misure di austerità poi attuate da Mario Monti alla caduta del governo Berlusconi. Quando poi la tempesta finanziaria, che ha travolto la Grecia, rischia di far cadere l’intero edificio dell’euro, SuperMario entra nella storia non solo economica con il suo celebre whatever it takes: il 26 luglio parlando a Londra convince i mercati finanziari che la Bce sarebbe intervenuta con tutte le sue forze per proteggere la moneta unica.

Le tensioni iniziano gradualmente a rientrare quando Francoforte avvia davvero il suo programma di acquisto di titoli: un passaggio che evidenzia l’abilità dell’economista romano anche sul terreno della mediazione politica. Buona parte del mondo politico e finanziario tedesco non vede con favore il protagonismo della Banca centrale, ma Draghi riesce a formare un asse con Angela Merkel argomentando che l’utilizzo del bazooka per rianimare l’asfittica inflazione continentale è coerente con il mandato di Francoforte.


ANNI IMPEGNATIVI


Anche quelli successivi saranno comunque anni impegnativi: l’Europa si salva dalla dissoluzione ma fatica ad avviarsi sulla strada di una crescita stabile e credibile. Il presidente della Bce diventa sempre di più un punto di riferimento: le sue parole nelle conferenze stampa che seguono le riunioni del Consiglio direttivo vengono analizzate e soppesate dagli investitori, a caccia di qualche indizio decisivo sulle future mosse.

Quando il mandato a Francoforte termina, Draghi rientra in Italia e inizia una vita lontana dai riflettori. Molti dicono che punti alla Presidenza della Repubblica, ma lui è ben attento a non lasciar trapelare neanche uno spiffero che possa alludere ad una qualche forma di impegno politico.

Rompe il silenzio a fine marzo dell’anno scorso, a pandemia ormai esplosa, con un articolo sul Financial Times che invita i governi fare debito per salvare a tutti i costi l’economia. A dicembre un nuovo intervento pubblico, nella veste di membro del Gruppo dei Trenta (think tank tra istituzioni pubbliche, aziende private e mondo accademico) con l’invito a non sprecare le risorse europee in arrivo e a gestore nel modo il più possibile ordinato e lungimirante la graduale uscita dall’emergenza. Una ricetta che viene lodata in Italia anche se suscita qualche imbarazzo a Palazzo Chigi. Ora quella ricetta, sempre da Palazzo Chigi, toccherà a lui attuarla. O almeno provarci.

La borsa

Impennata dell'indice Ftse Mib nell'after hours alla notizia dell'incarico a Draghi.

 

 

 

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