Ddl Zan, Draghi respinge il pressing del Vaticano: «Siamo uno Stato laico»

Ddl Zan e Vaticano, Draghi al Senato: «Italia Stato laico, non confessionale. Parlamento libero»
Ddl Zan e Vaticano, Draghi al Senato: «Italia Stato laico, non confessionale. Parlamento libero»
di Alberto Gentili
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Mercoledì 23 Giugno 2021, 18:11 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 18:29

«Questo è il momento del governo, non è il momento del Parlamento». Mario Draghi si chiama fuori dalla querelle con la Santa Sede sul disegno di legge Zan contro la omotransfobia. E non tenterà alcuna mediazione sul testo del provvedimento. Allo stesso tempo il premier, nell’aula del Senato, ha scandito: «Il nostro è uno Stato laico, non è uno Stato confessionale. Quindi il Parlamento è libero di discutere e di legiferare». Il Vaticano, contrario al disegno di legge, però stia tranquillo: «Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa».

Ddl Zan, le parole di Draghi

Le parole di Draghi, che suonano come una risposta negativa alla richiesta della Santa Sede al governo di intervenire per modificare il ddl Zan, sono frutto di un lavoro istruttorio di ben ventiquattr’ore. «Datemi tempo, voglio rispondere in maniera strutturata», aveva detto il premier martedì durante la conferenza stampa con Ursula von der Leyen sul Pnrr.

E ieri - dopo che gli sherpa del governo avevano messo a fuoco che la nota verbale del segretario di Stato Richard Gallagher «è espressione di alcuni esponenti della Cei». E dunque non di tutta la Chiesa: «Ci sarebbe da capire meglio le dinamiche interne alla Conferenza episcopale...», chiosava una fonte dell’esecutivo - Draghi in Senato ha dato una lezione di laicità.

 

 

«Senza voler entrare nel merito della questione», senza perciò difendere o sconfessare il contestato disegno di legge, il presidente del Consiglio ha messo a verbale: «Il nostro è uno Stato laico, non è uno Stato confessionale. Quindi il Parlamento è certamente libero di discutere e ovviamente di legiferare». Parole più o meno identiche a quella pronunciate da Roberto Fico, presidente della Camera, in mattinata. 
Poi, rassicurando chi dal Vaticano ha lanciato l’allarme con l’inusuale nota verbale del 17 giugno in cui si paventava la «violazione dell’accordo di revisione del Concordato», Draghi ha aggiunto: «Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa. Vi sono i controlli di costituzionalità preventivi nelle competenti commissioni parlamentari: è di nuovo il Parlamento che, per primo, discute della costituzionalità, e poi ci sono i controlli successivi nella Corte Costituzionale».

Il tutto, «senza entrare ovviamente nel merito della discussione parlamentare». Perché se è vero che «il governo sta seguendo» il dibattito sul ddl Zan è altrettanto vero, appunto, che «questo è il momento del Parlamento, non del governo». Una linea simile a quella del Quirinale, da cui filtra che Sergio Mattarella «valuterà» il ddl Zan «quando riceverà il testo approvato».

 

 

LA LEZIONE DI LAICITÀ

Chiarita la questione e rigettata la richiesta di Gallagher, Draghi (che è andato a scuola dai gesuiti) ha voluto dare una definizione di laicità richiamando una sentenza della Consulta del 1989: «Non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, la laicità è tutela del pluralismo e delle diversità culturali». In più, per far capire qual è la linea del governo sulle «discriminazioni in base all’orientamento sessuale», il premier ha ricordato che martedì «l’Italia ha sottoscritto con altri 16 Paesi europei una dichiarazione comune in cui si esprime preoccupazione» su alcune leggi in Ungheria di Orban, l’alleato di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni a cena ieri sera a Bruxelles con il leader ungherese.

La posizione del premier è stata salutata da una grandinata di applausi di Pd, Leu, Italia Viva, una parte di Forza Italia, mentre la Meloni ha chiesto di «sospendere l’iter parlamentare». Il centrosinistra e 5Stelle puntano però all’esatto contrario. «Questa legge è bloccata da troppo tempo dall’ostruzionismo leghista in commissione Giustizia, deve essere portata subito in Aula», ha detto la capogruppo Loredana De Petris.

SCONTRO ALLA CAPIGRUPPO

Tant’è, che alla conferenza dei presidenti dei gruppi, lo schieramento a favore del ddl Zan ha chiesto di calendarizzare il ddl nella settimana del 13 luglio. Lega e FdI invece di bloccarlo. Senza intesa, il verdetto sarà emesso il 6 luglio con una votazione in Aula.

L’obiettivo di Pd, Leu, M5S è tirare fuori il provvedimento «dalla palude» della commissione Giustizia guidata dal leghista Andrea Ostellari accusato di voler affossare il provvedimento. «Ma in Aula», dice un senatore dem, «saremo probabilmente costretti ad accettare alcune modifiche, Renzi offrirà sponda alle richieste del centrodestra». Si vedrà. Il fatto che il capogruppo di Italia Viva, Davide Faraone, auspichi a fine serata «un consenso largo» sembra confermare i sospetti del Pd.

 

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