Il metodo Super Mario: «Brutalmente pragmatico, non tollera gli sciocchi»

«Brutalmente pragmatico non tollera gli sciocchi»: il metodo di Super Mario
«Brutalmente pragmatico non tollera gli sciocchi»: il metodo di Super Mario
di Jana Randow e Alessandro Speciale
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Sabato 13 Febbraio 2021, 21:53 - Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 23:10

Richiesta di una opinione sul perché Mario Draghi viene spesso indicato con il soprannome di SuperMario, Christine Lagarde, che gli è succeduta alla guida della Bce, ha risposto: «Semplice, perché è superintelligente». Ma basta essere superintelligenti per trasformare quelle tre parole pronunciate nel luglio 2012 (whatever it takes) nel più potente messaggio che si sia mai registrato nella storia delle banche centrali? Evidentemente no, è questione di integrità e credibilità di chi pronuncia quelle parole, che nel caso di Draghi sono oggettivamente entrambe ai massimi livelli in tutto il mondo. Ebbene, come si è conquistato questi riconoscimenti l’ex presidente della Bce? Secondo Jana Randow e Alessandro Speciale, due giornalisti di Bloomberg, la risposta è complessa. Di qui l’idea del libro-reportage “Mario Draghi l’artefice” pubblicato alla fine del 2019. Un libro che chi vuole davvero conoscere lo “stile Draghi” dovrebbe leggere, informato e rigoroso al punto da meritare una prefazione entusiasta della presidente Lagarde. Pubblichiamo in pagina un brano del capitolo “Tolleranza zero per gli sciocchi”. (Osvaldo De Paolini)

Secondo un vecchio adagio, gli ufficiali di un esercito si possono dividere in quattro categorie: il primo gruppo comprende quelli sciocchi e pigri. Vanno lasciati stare, tanto sono innocui; poi ci sono quelli intelligenti e laboriosi. Sono ottimi aiutanti, e garantiscono che ogni dettaglio sia stato preso in esame. Il terzo gruppo comprende gli sciocchi e laboriosi. Sono una minaccia e vanno congedati all’istante. Caricano tutti di lavoro inutile. Infine ci sono gli intelligenti e pigri. Sono perfetti per le cariche di vertice. (...) Tra quanti amano citare questo adagio, un tempo c’era Tommaso Padoa Schioppa, l’economista italiano che è stato tra i padri intellettuali dell’euro prima di diventare uno dei sei membri del primo comitato esecutivo della Bce nel 1998. Quando, durante l’ascesa costante di Draghi negli anni Novanta e Duemila, qualcuno gli chiedeva un parere sul suo compatriota, la risposta di Padoa Schioppa era sempre: «Appartiene senz’altro all’ultima categoria».

LE ABITUDINI

Ora, accusare Draghi di pigrizia sembra assurdo.

Magari non avrà l’abitudine del suo predecessore (Jean-Claude Trichet, ndr) di convocare gli assistenti a notte fonda per intrattenere lunghi colloqui sugli ultimi sviluppi nei mercati finanziari, ma chi è a stretto contatto con lui lo definisce un lavoratore indefesso. «Non so quando trovi il tempo di dormire», osserva una persona che lo vede regolarmente, aggiungendo che, a prescindere dall’orario della prima riunione mattutina, il presidente arriva sempre preparatissimo, con i giornali già letti e dopo aver studiato tutti i documenti sul problema in esame. La sua attenzione al dettaglio è tale che Draghi non smette mai di sorprendere i collaboratori con la capacità di porre l’unica domanda alla quale i loro meticolosi memorandum non sono in grado di rispondere: uno degli uomini più indaffarati al mondo, non ha mai dimenticato la religione del lavoro e l’esempio di suo padre. Tuttavia c’è qualcosa di vero nel giudizio con cui Padoa Schioppa lo aveva assegnato all’ultimo gruppo della “griglia Von Moltke” (come viene comunemente chiamata, in riferimento al feldmaresciallo prussiano Helmuth Karl Bernhard von Moltke, uno dei presunti autori dell’aneddoto), se per pigrizia si intende un’efficienza mirata e il fastidio per l’attivismo fine a se stesso. Draghi delega. Non è tipo da micromanagement. Il tempo a sua disposizione è limitato, perciò non ha pazienza per le discussioni tirate troppo in lungo. Si concentra su poche questioni cruciali ed è ben contento di lasciare la gestione quotidiana a subalterni e collaboratori. (...) Apprezza i collaboratori che vanno subito al punto e non si perdono in chiacchiere. «So che ha i minuti contati perciò, se devo chiedergli qualcosa, mi capita di riassumere la domanda in una parola sola», osserva un funzionario internazionale. «Quanto alla risposta, a volte basta una sua occhiata» dice una persona che ha a che fare con lui quasi tutti i giorni. Draghi ha regolato il suo orologio cinque minuti in anticipo, per evitare ritardi e perdite di tempo. (...) Quando nel 2011 approda alla guida della Bce, questo stile efficiente, a volte persino brutale nel suo pragmatismo, segna un netto distacco rispetto a quello del suo predecessore Trichet. Negli otto anni di guida del francese molti si erano affezionati al suo impegno incessante per creare un esprit de corps all’interno dell’istituzione, e hanno avuto da ridire sul cambiamento. Ci hanno messo un po’ a capire che quando Draghi ti affida un progetto significa che ne sei responsabile a tutti gli effetti. «Il mio stile di management si basa sulla delega ma anche sulle verifiche, sia personali sia collegiali, insieme al comitato esecutivo» ha spiegato in un’intervista rilasciata nel 2015. Con la puntualizzazione: «Secondo la mia esperienza, è un sistema che funziona». (...) «Non si fa scrupolo a interrompere le persone», dichiara un governatore che ne apprezza lo stile. «Se ritiene che una discussione abbia superato i limiti, Mario taglia corto». (...) Draghi preferisce incontri brevi e mirati, e non permette ai presenti di continuare a parlare per il solo gusto di ascoltare la propria voce. «Non ha alcuna tolleranza per gli sciocchi» dice un suo stretto collaboratore. E quando la sua pazienza scende al livello di guardia, spesso si vede. (...) Ed è rigidissimo in merito alla separazione tra vita professionale e privata, un rigore che lo staff apprezza. «Dopotutto anch’io preferisco passare le serate in famiglia che con lui», commenta ridendo un collaboratore.

ANALITICO E PONDERATO

Una persona che lo conosce fin dagli anni Novanta offre un’analogia più tecnica per spiegare il suo atteggiamento. «Pensandola in termini di funzione di produzione, cioè calcolando i fattori di lavoro e capitale per valutare l’efficienza, i risultati che ottiene sono straordinari. Non si ammazza di lavoro. È così che è riuscito a sopravvivere». (...) Ma lo stile presidenziale è solo una faccia della medaglia. Ciò che gran parte dei suoi pari non riesce a vedere è come Draghi giunge alle sue conclusioni. È analitico e ponderato. Pone domande difficili e ascolta con attenzione le risposte. Contesta i luoghi comuni e le consuetudini. Prima che qualsiasi argomento arrivi in sede di dibattito, lui ha dedicato settimane e a volte mesi a studiarlo, soppesando le varie opzioni e formandosi un’opinione. Avanza una proposta solo dopo averla rigirata da ogni lato e dissezionata a fondo per accertarsi che sia la migliore possibile, perciò fatica ad accettare critiche, soprattutto da parte di chi non la vede come lui. Detto questo si considera comunque molto aperto ai suggerimenti alternativi e niente affatto restio a ricredersi. Gli piace citare la celebre frase attribuita all’economista John Maynard Keynes: «Quando i fatti cambiano, io cambio opinione. E lei cosa fa, sir?».

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