Manovra, l’allarme del Colle sui tempi: dopo il varo l’esecutivo rischia

Manovra, l allarme del Colle sui tempi: dopo il varo l esecutivo rischia
Manovra, l’allarme del Colle sui tempi: dopo il varo l’esecutivo rischia
di Marco Conti
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Sabato 7 Dicembre 2019, 07:21 - Ultimo aggiornamento: 17:42

«Ovvio, se non ci fosse stata la faccenda di Open non saremmo stati costretti da Renzi a riaprire la manovra». Dalle parti del Nazareno si sbuffa e ci si agita. Gli ultimi due giorni di vertice a palazzo Chigi hanno esasperato ancor più gli animi. Stavolta però non sono i grillini oggetto dello scandalo, ma Italia Viva e quel suo irrigidirsi su due questioni che il ministro Gualtieri pensava di aver risolto incontrando le associazioni di categoria coinvolte dai possibili aumenti delle tasse su plastica e zucchero.

Invece a palazzo Madama è scoppiato l'inferno quando Gualtieri ha detto che c'erano 3-400 milioni disponibili. Uno scontro condito dalle solite minacce di far cadere il governo e del voto, argomenti che ormai vengono evocati per scaramanzia. E così la riunione è andata avanti a strattoni per quattordici ore con la manovra di bilancio che rischia di essere licenziata in ritardo da Palazzo Madama e di arrivare alla Camera solo in tempo per il voto di fiducia. A perdere le staffe con la pattuglia renziana, composta dal trio Boschi, Faraone e Marattin, è stato però anche il presidente del Consiglio costretto sempre più spesso ad inseguire dossier che sembrano non chiudersi mai.

Dopo aver speso buona parte della settimana per trovare una via d'uscita alla questione della riforma dal Salva-stati, Conte si ritrova di prima mattina con il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri che presenta le coperture trovate nella notte. Tra pause, minacce di rottura ed ultimatum, la trattativa va avanti sino a sera ed interrotta da un paio di impegni internazionali che ha Conte in agenda e dall'incontro che lo stesso presidente del Consiglio ha con il Capo dello Stato. Lo stretto rapporto di Conte con Sergio Mattarella è noto, così come è nota la preoccupazione con la quale il Quirinale segue il faticosissimo iter della legge di Bilancio sulla quale, a tre settimane dall'esercizio provvisorio, non c'è stato neppure un voto in Aula. L'allarme per i ritardi del governo è scattato al Quirinale da tempo, e le opposizioni avranno ragioni da esporre qualora si dovesse procedere a colpi di fiducia.

L'ottimismo di Conte, mostrato a sera tarda in conferenza stampa, non nasconde però l'irritazione nei confronti dei ripetuti distinguo della sua maggioranza. Un nervosismo, quello del premier, amplificato dalla notizia, che sarebbe dovuta rimanere riservata, della inattesa trasferta serale sul Colle.

D'altra parte il clima nella maggioranza è pessimo. Per tutta la giornata si susseguono scambi di accuse tra Pd e Iv. Con Renzi che minaccia le urne e Orlando che risponde con «un siamo pronti». Oggetto del contendere, più dei 400 milioni recuperati dal ministro Gualtieri, è l'ossessione per le mosse renziane che il Pd mostra di avere e che lo spinge ad alzare barricate su ogni argomento dove il partito dell'ex sindaco di Firenze potrebbe trarne il ben che minimo vantaggio.

«Non cadremo a gennaio», ha sostenuto qualche giorno fa il presidente del Consiglio. Un auspicio. O forse la mera constatazione che in Emilia Romagna si vota il 26 gennaio e che, quindi, sino a quella data resterà a palazzo Chigi. La corsa di ieri sera al Quirinale segnala però una difficoltà del premier che, su un argomento importante per il Paese come la manovra di bilancio, riceve e sventola una sorta di protezione del Capo dello Stato. Chiusa in qualche modo la legge di Bilancio, a Conte toccherà però navigare in mare aperto dovendo fare i conti con un M5S in costante liquefazione interna e lo scontro a sinistra tra Pd e renziani.

L'unico elemento che mette in comune i tre partiti è il seppur diverso terrore delle urne anticipate. Malgrado l'abuso della reciproca minaccia di far saltare il governo, andare al voto a breve non conviene ai 5S di Di Maio che, stante i sondaggi, verrebbero decimati. Non al Pd di Zingaretti, che verrebbe accusato di consegnare il Paese alla destra di Salvini anche dalle sardine. E neppure a Italia Viva, la cui ascesa si è fermata, complice le inchieste della magistratura di Firenze. Ma non è detto che l'interesse di tutti i partiti affinchè la legislatura vada avanti metta al riparo il governo-Conte.
 

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