Sfida sul deficit al 2%, la Ue: «Non basta». Conte: «Sotto non andiamo»

Sfida sul deficit al 2%, la Ue: «Non basta». Conte: «Sotto non andiamo»
di Antonio Pollio Salimbeni
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Martedì 4 Dicembre 2018, 07:11 - Ultimo aggiornamento: 11:08

BRUXELLES L'Eurogruppo sta con la Commissione e chiede all'Italia «di prendere le misure necessarie per rispettare il Patto di stabilità». Non solo: scommette sull'accordo su una soluzione condivisa: «Sosteniamo la valutazione della Commissione e il dialogo in corso tra Commissione e autorità italiane». Ecco la posizione dei ministri finanziari che nello stesso tempo mantengono il punto sulla necessità che l'Italia si adegui al quadro di bilancio dell'Eurozona, respingono di fatto anche la seconda versione (praticamente la fotocopia della prima) del progetto di legge di bilancio e sperano in un'intesa con l'Italia. La partita non è chiusa e non è chiusa soprattutto in Italia: fonti qualificate indicano che «tutta la discussione è a Roma con gli azionisti della maggioranza di governo». E da Roma il presidente Conte conferma che servirà ancora qualche giorno prima di un nuovo passaggio con le istituzioni europee. Negando però di voler scendere al di sotto del 2% nel rapporto deficit/Pil.
Nel testo della dichiarazione sulle leggi di bilancio degli Stati Eurozona, sull'Italia l'Eurogruppo si riferisce alle ultime battute dello scontro Italia-Ue sulla manovra finanziaria: «L'Italia ha sottoposto il 13 novembre un progetto di bilancio sul quale la Commissione ha emesso un'altra opinione il 21 novembre confermando l'esistenza di una inadempienza particolarmente grave della raccomandazione del Consiglio». E ancora: «Un lento ritmo di riduzione del debito dagli alti livelli in un numero di Stati resta una fonte di preoccupazione e deve essere fronteggiato con decisione». L'Eurogruppo non cita la possibile procedura per violazione della regola del debito, levigando il più possibile i toni. Fonti qualificate indicano che all'Italia vengono chiesti «impegni credibili». A Roma si cerca di comporre un quadro che assicuri un aggiustamento del deficit/pil strutturale anche se minimo. Questo per Commissione ed Eurogruppo è un punto ineliminabile. L'esecutivo Ue non si sbilancia sui contenuti del negoziato. Indicative le parole di Pierre Moscovici: «Le discussioni con l'Italia fanno progressi, c'è stato un cambiamento di metodo, vedo una disponibilità nuova per cambiare, discutere, ci sono nuove proposte che fluttuano nell'aria e vanno nella buona direzione, ma c'è uno scarto significativo tra la valutazione dell'Italia e le esigenze del patto di stabilità che la Commissione e il Comitato economico e finanziario, che rappresenta i ministri, hanno indicato».

LA PREPARAZIONE
Mentre continua il dialogo, «continuiamo a preparare la nostra decisione, perché una procedura a questo stadio è necessaria: dialogo e preparazione della procedura vanno il parallelo». In assenza di un compromesso su scommette sempre sulla data del 19 dicembre per il lancio formale, voto Ecofin il 22 gennaio. Il punto di partenza del governo è dal deficit/Pil 2019 nominale al 2,4%. Da qui si scenderebbe magari fino al 2% nelle intenzioni del governo. Il 2,4% nominale vale per Bruxelles il 2,9%, ma il governo contesta questa stima anche sulla base delle assunzioni tecniche Ue. Intanto un giudizio piuttosto drastico sull'economia italiana arriva da Goldman Sachs. Nel suo European Outlook, la banca d'affari prevede che «l'Italia flirti con la recessione intorno all'inizio dell'anno». «Ci aspettiamo che questo abbia un effetto modesto sulla più ampia domanda europea, a condizione che le ripercussioni siano limitati ai tradizionali collegamenti commerciali» si legge ancora nel testo. Goldman Sachs ritiene però che saranno i mercati finanziari ad indurre scelte diverse: «I nostri economisti europei rimangono scettici nei confronti della capacità delle istituzioni dell'Ue o degli attori politici italiani per innescare un cambiamento di rotta, piuttosto, pensano che un'ulteriore pressione del mercato sia tanto più probabile come catalizzatore per il ritorno alla disciplina fiscale».

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