Manovra, l'asse premier-Juncker che rassicura i due vice

Manovra, l'asse premier-Juncker che rassicura i due vice
di Marco Conti
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Martedì 4 Dicembre 2018, 07:18 - Ultimo aggiornamento: 09:05
Più la manovra di Bilancio si avvicina all'Ecofin, e quindi ai governi dell'eurozona, e più i margini di trattativa sembrano ridursi. La constatazione che la coppia Juncker-Moscovici è più comprensiva di quella composta da Valdis Dombroviskis e dalla pattuglia dei falchi del Nord Europa, non è una novità per il ministro dell'Economia Giovanni Tria che ieri a Bruxelles ha avuto con il lettone - e vice presidente della Commissione - l'ennesimo e complicato faccia a faccia. Cosi come la Francia di Macron, a lungo dileggiata, rischia di diventare presto una sponda e un argomento buono per piegare i paesi più duri, non solo per il suo 3% ma anche per le tensioni sociali in atto.

IL BRACCIO
«L'obiettivo del governo è evitare l'infrazione», ripete il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che il bastone del comando della coalizione lo ha impugnato giorni fa quando, a dispetto di Salvini, ha ribadito sul Global Compact la sua «posizione favorevole». E anche se il Parlamento non riuscirà ad esprimersi prima della conferenza di Marrakech, Conte non considera la faccenda chiusa. Come non reputa ancora conclusa la trattativa con Bruxelles o sulla Tav, sulla quale ieri è riuscito a far battere un colpo a Di Maio e persino a Toninelli. D'altra parte che la situazione con Bruxelles si stesse incartando era noto da tempo. Così come da tempo viene considerata ineluttabile la procedura d'infrazione. Ed invece ieri la dichiarazione dell'Eurogruppo non menziona la procedura e gli stessi ministri Ecofin non escludono che la riunione, dove verrà valutata la manovra licenziata dal Parlamento, si possa tenere anche dopo il 19 dicembre. Le distanze però restano con il governo che cerca di tenere la linea Maginot del 2% nel rapporto deficit-pil e l'eurogruppo che non intende concedere più dell'1,9. Compreso lo 0,2 per investimenti (dissesto, terremoto e ponte Genova), che permetterebbe in tal modo uno 0.1% di correzione al debito strutturale.

Un braccio di ferro che continua ma con toni e pratiche molto soft e con Conte che non esclude nuovi contatti con Juncker anche prima del Consiglio europeo del 13. L'attesa resta comunque grande per ciò che il governo scriverà nell'emendamento che al Senato correggerà i saldi inserendo Reddito e pensioni nella manovra. Per ora, per dirla con il commissario francese Moscovici, le proposte «fluttuano nell'aria» con i due vicepremier che hanno consegnato a Conte le chiavi della legge di Bilancio e preferiscono parlar d'altro. I due confidano in una soluzione che gli permetta di gioire per l'approvazione delle due misure e non in un epilogo che li costringa - specie Salvini - a non votare la manovra o a farlo turandosi il naso, salvo poi addossare a Conte, Tria e all'Europa le responsabilità di una manovra senza quota 100 - ma con una finestra per andare prima in pensione - e con il Reddito destinato a pochissimi o magari rinviato a dopo maggio. Scenario, quest'ultimo, terrificante per l'Italia e la sua stabilità ma che, unito a ciò che accade in Francia, rischia di terremotare l'eurozona.

Ipotesi che a palazzo Chigi non si contemplano. Conte è infatti convinto di farcela a piegare anche chi nell'eurozona «fa la parte del cattivo», come nota il sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Il premier sta sfruttando la delega firmata dai suoi due vice in un vorticoso giro di telefonate che intrecciano Bruxelles con Berlino, Parigi e molte altre capitali europee. Un compito, quello che all'improvviso i due gli hanno affidato, dovuto anche alle difficoltà che incontra Di Maio per le note vicende familiari e ai rischi che Salvini corre - specie dopo che al Nord il partito del Pil ha battuto un colpo - nel licenziare una legge di Bilancio composta tutta, o quasi, di spesa corrente, con pochi investimenti ma in grado di far schizzare di nuovo lo spread oltre trecento.
Lo spettro di una nuova recessione e di una procedura d'infrazione hanno silenziato a tal punto i due leader che ieri nessuno ha replicato alle rampogne di Dombrovskis e agli attacchi del leader di Confindustria Vincenzo Boccia. Ovviamente a palazzo Chigi c'era chi ieri faceva notare come «Confindustria dovrebbe fare il mestiere suo senza suggerire alla politica crisi di governo o quant'altro», ma la sordina resta e fa rumore al pari degli affondi contro Bruxelles che i due vicepremier non hanno a lungo lesinato.
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