Tra voglia di voto e nuovi esecutivi: il non detto dei partiti al Quirinale

Meloni, Berlusconi, Salvini
Meloni, Berlusconi, Salvini
di Mario Ajello
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Venerdì 23 Agosto 2019, 09:24 - Ultimo aggiornamento: 11:09

Se Sergio Mattarella avesse agito come Luigi Einaudi il giorno di ferragosto del 53 - quando incaricò Pella di fare il governo senza alcuna consultazione - avremmo risolto il problema ma ci saremmo persi lo spettacolo. Quello del valzer del detto e del non detto, delle parole implicite o sottintese, della sagra del voglio le elezioni ma anche no e del non voglio le urne ma in fondo le desidero.

E così tra un al voto! al voto! e l'altro, il cosiddetto Capitan Matteo (Salvini) infila continuamente l'«io sono disposto a ricominciare» con i grillini, «con Di Maio mi sono sempre trovato bene e possiamo andare avanti» (non avanti nella campagna elettorale quindi?). Ed è tutto un giocare da parte di tutti sul filo del depistaggio e dell'1X2, del rompicapo e del mal di testa. Tra voto e esecutivo, tra urne e governo vecchio (ah, la nostalgia non nascosta di Salvini e di Di Maio per il passato di un'illusione...) o governo nuovo. Ognuno ha l'opzione principale ma anche la subordinata e non si capisce bene se guida questa o guida quella o se vanno a incrociarsi e a sbattere, come in un incidente stradale fuori dallo studio Alla Vetrata del presidente Mattarella.

Insomma è tutto un procedere di giravolte e di sfumature. In cui Zingaretti sospetta che Di Maio non abbia ancora chiuso il forno con Salvini e non lo dice ma lo fa capire e Di Maio si gode i due forni aperti. E dentro lo studio e al cospetto di Mattarella, Luigi parla del nuovo cammino con il Pd, ma fuori da quell'ufficio e sul pulpito davanti ai giornalisti si guarda bene di non dire quello ma dice altro, ossia resta sul vago, per godersi il piacere dell'ambiguità, questa sconosciuta. Siamo al tempo delle consultazioni new age. Acrobatiche e sfuggenti. Simili a quell'archetipo del non detto, condensato in un proverbiale scambio di battute tra moglie e marito. Lei: «Ma con chi eri fuori a cena ieri sera?». E lui: «Ah, il ristorante era pessimo».

Lo Zingaretti che vuole votare ma sta facendo un tragitto per non farlo e sta andando alle nozze con i grillini ma forse con il retropensiero elettorale invece di parlare apertamente che cosa fa? Piazza come macigno l'indisponibilità ad accettare il taglio dei parlamentari che M5S vuole come punto qualificante del nuovo corso. Tutte le condizioni e i veti, i pentaloghi e i decaloghi che intorno al Colle i dem e grillini si scambiano e si contrappongono, non sono che modi per sfarinare la tattica del dirimpettaio e confondere e confondersi. Perché in fondo - ecco uno dei dieci punti stellati - come possono fare i dem ad accettare l'acqua pubblica, la retorica dei beni comuni e un pizzico di decrescita felice inserite nella proposta M5S, più simile a un ordine del giorno da meet up che a una base programmatica per un governo di legislatura?

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E' tutto un gioco per fiaccarsi a vicenda e per rafforzarsi in casa, ma anche litigando dentro casa. Quanti posti ci dai nel governo? E' il non detto della minoranza dem in ogni sillaba rivolta a Zingaretti. Quanto spazio elettorale ci dai, se si va al voto? E' la richiesta non esplicita di Berlusconi a Salvini. E pensare che il rito delle consultazioni, a uno sguardo meno malizioso, agli occhi dell'opinione pubblica che vive di normalità, è apparsa sempre una cerimonia della Repubblica molto lineare e trasparente, quasi rassicurante con quello stuolo di leader che entravano e uscivano dallo studio presidenziale e parlavano con franchezza alla nazione. Ora invece si truccano le carte.

CONCAVI E CONVESSI
E' stato molto più fortunato Einaudi ai suoi tempi (anche in quell'estate in cui abolì il rito dicendo che «la Costituzione non lo prevede», ma la prassi sì) rispetto a quanto oggi lo sia Mattarella. Al quale questo uso poco chiaro e insieme propagandistico delle consultazioni non può andare a genio. I comizi fuori dalla sua porta contengono tutta l'irritualità che si sta dando a questa liturgia. E che maestro Berlusconi, il concavo e convesso per eccellenza (ma gli imitatori si moltiplicano). Rilancia uscendo dallo studio presidenziale il «centrodestra unito» con lui e Salvini e intanto lo tratteggia in maniera lontana e opposta al salvinismo: «Dev'essere non sovranista, ma fortemente europeista, liberale, moderato, responsabile...». Il non detto berlusconiano sta nel rilanciare con Matteo smontando con altre parole Matteo. E esaltando la Merkel e Juncker («Ah, se raccontassi quanto pensavano male del governo giallo-verde...»), bestie nere del cosiddetto Capitano.
E così, se è vero che ormai un governo è quella breve interruzione di tempo tra un giro di consultazioni e l'altro, si spera ma forse anche no che l'intervallo arrivi presto.

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